Il Fatto Quotidiano

“È sempre l’eros a ispirarmi e con l’lsd ho avuto fortuna”

PAUL MCCARTNEY Il 9 novembre, in contempora­nea mondiale, esce il cofanetto deluxe “The Lyrics – Parole e ricordi dal 1956 a oggi”: autobiogra­fia del Sir in 154 canzoni, dagli esordi ai Beatles agli Wings

- » Paul Mccartney

Anticipiam­o stralci di “The Lyrics” di Paul Mccartney su “I Want to Hold Your Hand” e “Fixing a Hole”. Il libro, a cura di Paul Muldoon, uscirà in tutto il mondo il 9 novembre (in Italia con Rizzoli).

Alla base di tutto c’era l’erotismo. Se mi fossi sentito usare questa parola quando avevo diciassett­e anni, sarei scoppiato a ridere. Ma l’erotismo era davvero la spinta per tutto quel che facevo. È un impulso molto forte. E, appunto, è quel che stava dietro molte di queste canzoni d’amore. “Voglio stringerti la mano” aperta parentesi “(e probabilme­nte vorrei fare molto altro!)”.

All’epoca in cui questa canzone è stata scritta, avevo circa ventun anni, ci eravamo già trasferiti a Londra. Il nostro manager ci aveva procurato un posto dove stare: Appartamen­to L, al 57 di Green Street, Mayfair. Era tutto molto eccitante: Mayfair è una zona chic di Londra. Per qualche motivo io sono stato l’ultimo ad andarci e, guarda un po’, mi avevano lasciato una stanza piccola. Gli altri si erano presi tutte quelle più grandi. E mi avevano lasciato una cacchio di stanzetta.

Ma all’epoca avevo una fidanzata, Jane Asher, che era una ragazza molto di classe, il cui padre era un medico di Wimpole Street e la mamma era una donna meraviglio­sa, un’i n s egnante di musica di nome Margaret Asher. Andavo spesso a trovarli a casa. Mi piaceva andarci perché erano davvero una famiglia. Margaret e io andavamo molto d’accordo. È diventata per me una specie di seconda madre. Sembrava tutto come prima che mia madre morisse, quando avevo quattordic­i anni, anche se non avevo mai visto una famiglia come quella. Le persone che conoscevo venivano tutte dal proletaria­to di Liverpool. Qui eravamo nella Londra elegante: tutti loro avevano agende con impegni che coprivano orari dalle otto del mattino fino alle sei o alle sette di sera – senza un buco libero. Non c’era un minuto che non fosse destinato a qualcosa... Ero molto affascinat­o da tutto questo. Era come se stessi vivendo in prima persona una storia, un romanzo.

A un certo punto sono andato a vivere dagli Asher... Quando veniva a trovarmi John usavamo un pianoforte nel seminterra­to... Scrivevamo lì, suonando il piano a quattro mani, o faccia a faccia con le chitarre. I Want to Hold Your Hand non parla di Jane, ma di certo è stata scritta quando stavamo assieme. A dire il vero, credo stessimo scrivendo per un pubblico più ampio. Se ero innamorato di una persona potevo ispirarmi alla mia esperienza con lei – e a volte essere molto specifico – ma il più delle volte scrivevamo per il mondo intero.

PRIMA CHE IO MI METTA a scrivere una canzone, è come se ci fosse un buco nero, quindi prendo la chitarra o il pianoforte e provo a riempirlo. La nozione che ci sia un vuoto da riempire è un’i mm ag in e dell ’ ispirazion­e non meno onorevole del raggio di luce che scende dal cielo. In un modo o nell’altro, è un miracolo...

Io sono stato l’ultimo del gruppo a prendere l’lsd. John e George mi spingevano a farlo in modo che potessi essere al loro stesso livello. Ero molto riluttante perché in realtà sono abbastanza moralista, e avevo sentito dire che se prendevi l’lsd dopo non saresti più stato quello di prima. Non ero certo di desiderarl­o. Non mi sembrava un’idea così grandiosa. Ho resistito molto. Alla fine, ho ceduto e una sera ho preso l’lsd assieme a John. Sul fronte dell’lsd sono stato abbastanza fortunato, nel senso che non ha rovinato troppo la faccenda. Certo, aveva una componente che faceva paura. La componente davvero spaventosa era che quando avresti voluto fermarti, non ci riuscivi. Ti dicevi: “Ok, adesso basta, la festa è finita” e invece quello ti rispondeva “No, non lo è”. Così andavi a dormire con le visioni. A quell’epoca, quando chiudevo gli occhi, invece del buio c’era un piccolo buco blu. Era come qualcosa che doveva essere rattoppato. Ho sempre avuto la sensazione che se avessi potuto raggiunger­lo e guardarci attraverso, avrei trovato una risposta... L’influenza più importante in questo caso non è stata nemmeno l’idea metafisica di un buco, come ho detto prima, ma questo fenomeno assolutame­nte fisico – qualcosa che mi è apparso per la prima volta dopo aver preso l’acido. Mi capita ancora di vederlo qualche volta, e so precisamen­te cos’è. Conosco le sue dimensioni. Qualcuno pensa che Fixing

a Hole abbia a che fare con l’eroina. Probabilme­nte perché suscita in loro l’immagine del buco di un ago. Quando ho scritto questa canzone, la droga era, nella maggior parte dei casi, la marijuana. Di fatto, vivevo per lo più da solo a Londra e mi godevo la mia nuova casa. © Rizzoli, 2021 by Mpl Communicat­ions, Inc. Published by arrangemen­t with W. W. Norton and co./ Agenzia Santachiar­a

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©MCCARTNEY/ PHOTOGRAPH­ER: LINDA MCCARTNEY © MPL COMMUNICAT­IONS LTD Con l’amico John Mccartney e Lennon
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