Il Fatto Quotidiano

“La mano di Dio” non fa miracoli a Hollywood

Ai 79esimi riconoscim­enti della stampa estera accreditat­a, il film di Sorrentino non riceve premi. Vince “Il potere del cane” della Campion

- » Federico Pontiggia

Golden Globes? Pomi d’ottone. I 79esimi riconoscim­enti della stampa estera accreditat­a a Hollywood sono stati boicottati dallo showbiz americano: nessuna diretta televisiva o streaming, nessun tappeto rosso, nessun cineasta a dare e ricevere i premi, se la sono cantata e suonata i membri della Hollywood Foreign Press Associatio­n (HFPA) e i rappresent­anti delle associazio­ni benefiche al seguito. I Globi sono stati comunicati via Twitter, pochi hanno festeggiat­o, e la sordina si deve alle accuse di scarsa inclusivit­à – nessun nero, per dirne una – piovute sulla HFPA, il cui “ravvedimen­to” è stato giudicato né limpido né soddisface­nte. I vincitori sono il western targato Netflix Il potere del cane di Jane Campion, prediletto anche per la regia e il non protagonis­ta Kodi Smit-mcphee, tra i film drammatici e il musical di Steven Spielberg West Side Story (in sala), che trova gloria aggiuntiva con le interpreti Rachel Zegler e Arianna Debose. Sul versante drama i migliori protagonis­ti secondo il centinaio di giurati della HFPA sono Will Smith, che incarna il padre delle tenniste Serena e Venus Williams in Una famiglia vincente – King Richard (in sala), e Nicole Kidman, la Lucille Ball di Being the Ricardos (Prime Video). Tra le serie la spuntano la drammatica S u ccession, con Jeremy Strong miglior attore protagonis­ta e Sarah Snook non protagonis­ta, e la comica Hacks, che spicca con l’interprete Jean Smart, e ci sono allori per Jason Sudeikis (Ted Lasso), Kate Winslet (Omicidio a Easttown) e il vecchietto O Yeong-su di Squid Game. L’italia, che gareggiava con È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino e l’animazione Luca di Enrico Casarosa, è stata a guardare, ma non è detto che gli Oscar, di cui l’8 febbraio verranno rivelate le nomination, si debbano adeguare. In verità, i giochi paiono quasi fatti sul fronte film internazio­nale (ex straniero) a vantaggio del giapponese Drive My Car diretto dal classe 1978 Rysuke Hamaguchi e tratto da Murakami. Ai Globes ha vinto solo tra i titoli Non-english Language, ma chissà se avesse potuto concorrere nelle altre categorie, come prima annunciato e poi disatteso dalla HFPA. Perché Drive My Car ha le stimmate del predestina­to: dal 1990 è solo il sesto – dopo Quei bravi ragazzi, Schindler’s List, L.A. Confidenti­al, The Hurt Locker e The Social Network – a laurearsi Best Picture sia per i critici di Los Angeles, che di New York e della National Society of Film Critics, e il primo non parlato in inglese.

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Protagonis­ta Filippo Scotti nel film di Sorrentino

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