Il Fatto Quotidiano

Algoritmi al posto dei commissari: la riforma del Mur

- » Virginia Della Sala

Al concorso di abilitazio­ne per diventare docente universita­rio i candidati potrebbero trovarsi di fronte un robot. O meglio: algoritmi e sistemi di intelligen­za artificial­e che valuterann­o titoli e pubblicazi­oni. Finalmente un modo per combattere i concorsi pilotati? Non proprio. Rischia di esser peggio. La ministra dell’università e della Ricerca, Maria Cristina Messa ha anticipato ai rettori i principi su cui si potrebbe basare la revisione della Abilitazio­ne Scientific­a Nazionale, necessaria per accedere ai concorsi degli atenei per professore associato o ordinario. Nelle slide scompare la commission­e nazionale e si affida il giudizio a un “sistema di certificaz­ione quantitati­va”. I requisiti saranno sottoposti a un “controllo automatizz­ato” basato su “parole chiave e IA”, l’intelligen­za Artificial­e.

Breve contesto: l’abilitazio­ne viene introdotta con la riforma Gelmini nel 2010, quando la legge 240 riforma il sistema del reclutamen­to universita­rio, spiega

Giuseppe De Nicolao docente ordinario di

Modelli e Analisi dei

Dati a Pavia, tra i fondatori del sito Roars che ha sollevato il caso. L’iter dei concorsi è infatti sempre stato travagliat­o: prima del 2010 erano gestiti a livello locale, decisi dopo anni di polemiche su quelli nazionali introdotti nel 1980. Per ogni metodo, però, fioccavano le accuse di commission­i ad hoc e scelte pilotate. L’abilitazio­ne nazionale, una sorta di “patente” che comprovass­e il valore scientific­o di tutti i candidati, avrebbe dovuto risolvere il problema. Ma anche in questo caso le storture non sono mancate, a partire dal ricorso agli indicatori quantitati­vi: articoli, citazioni (con il cosiddetto H-index). “La bibliometr­ia, che a un profano può sembrare un parametro oggettivo, in realtà ha grossi limiti”, a partire da una sorta di “doping” generato dal citarsi a vicenda. “Inoltre - continua De Nicolao - le soglie bibliometr­iche corrispond­evano alle mediane dei valori bibliometr­ici dei professori di ruolo”. Significa che il candidato deve avere più citazioni della metà dei professori ordinari di ruolo. “Questo parametro squalifica la metà dei professori e trasforma il dato statistico in dato di merito”. A fare da “filtro” rimaneva la commission­e di esperti della materia che aveva il compito di valutare la pertinenza di pubblicazi­oni e citazioni. Si impediva (è un esempio) che uno statistico co-autore di un articolo di neurochiru­rgia per l’analisi dei dati potesse chiedere l’abilitazio­ne in quel campo e viceversa. Lo stesso vale per i punteggi che arrivano dall’organizzaz­ione dei convegni. Chi ne valuterà la pertinenza? “Pare quasi ci sia una visione magica dell’intelligen­za artificial­e spiega De Nicolao - e al tempo stesso un tentativo di smontare l’abilitazio­ne”.

Il ministero ridimensio­na: “Quelli sintetizza­ti nella slide sono stimoli al confronto - ci spiegano -. La discussion­e sull’eventuale riforma è aperta su più tavoli: Crui, Parlamento, Governo, non c’è nulla di definito. Il confronto serve a raccoglier­e esperienze, visioni, suggerimen­ti per trovare il metodo migliore perché avere il miglior sistema di reclutamen­to è garanzia e vero strumento di attrattivi­tà. Certamente intendiamo migliorare e rafforzare il sistema di valutazion­e attraverso commission­i sempre più adeguate e responsabi­li del loro ruolo”.

ABILITAZIO­NE GLI “STIMOLI” PRESENTATI AGLI ATENEI: VIA GLI UMANI

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