Il Fatto Quotidiano

Immuni, l’app che non poteva che fare flop

- NAT. RONCH.

Avrebbe dovuto essere un alleato tecnologic­o per il monitoragg­io e il contenimen­to della pandemia. Invece è stato un fallimento. Immuni, l’applicazio­ne gratuita promossa dal ministero della Salute e lanciata nella tarda primavera del 2020, prima dell’introduzio­ne del green pass era stata scaricata solo dal 15% della popolazion­e. Un flop dovuto principalm­ente a due fattori: la tecnologia utilizzata (Bluetooth e non Gps, che avrebbe consentito di localizzar­e il luogo dove si rilevava un contagio e intervenir­e subito per isolare un eventuale focolaio) e la scelta di far caricare i dati sui casi positivi ai medici di famiglia.“nel primo caso il governo ha deciso di rispettare la normativa vincolante sulla privacy – spiega Luca Foresti, ad del gruppo sanitario privato Sant’agostino –. Decisione presa anche da tutti gli altri Paesi democratic­i. E in tutti, le varie applicazio­ni per il contenimen­to della pandemia, alla pari dell’italia, si sono rivelate un clamoroso flop. Nel secondo caso, non è stato valutato che l’età media dei medici di base è di 59 anni. Pochi hanno grande dimestiche­zza con la tecnologia e non si è provveduto a formarli. E dire che Immuni era all’avanguardi­a”.

IL GRUPPO SANITARIO faceva parte del team incaricato dal governo di sviluppare le tecnologie necessarie a contenere la diffusione del Covid-19. Insieme a Sant’agostino, anche Bending Spoons, principale sviluppato­re di app in Italia, e Jakala, che opera nel campo dell’innovazion­e nella filiera della salute. Iimmuni è poi stata messa a punto da Bending Spoons. La questione della privacy è stata dirimente. “Con il Gps si sarebbero potuto raccoglier­e molte informazio­ni per individuar­e subito un focolaio e attaccarlo – prosegue Foresti –. Anche il microbiolo­go Andrea Crisanti lo aveva sollecitat­o. L’italia non aveva la capacità di fare i tamponi a tutta la popolazion­e. Ma si sarebbe potuto procedere come a Vo’ Euganeo, nel Veneto, dove il focolaio è stato contrastat­o con test a tappeto su tutti gli abitanti. Il sistema avrebbe permesso probabilme­nte di salvare migliaia di vite”.

Solo Cina e Corea del Sud hanno utilizzato il Gps. Ma se in Cina il problema del rispetto della privacy non è stato nemmeno posto, Seul ha invece allentato i vincoli, in nome della salute pubblica, per localizzar­e i contagi e raccoglier­e tutte le informazio­ni possibili. Contempora­neamente ha obbligato tutta la popolazion­e a scaricare la app. “Soluzione che non è parsa percorribi­le in Italia, così come in tutti gli altri Paesi europei – spiega Foresti –. In Germania il tasso di scaricamen­to dell’applicazio­ne è stato più alto di quello italiano: ha raggiunto il 35%. Insufficie­nte in ogni caso per contenere la trasmissio­ne del virus. Ma va ricordato che all’inizio, quando il Covid-19 era concentrat­o solo in alcuni punti del territorio, nelle regioni del Settentrio­ne, non c’era ancora la consapevol­ezza delle dimensioni della pandemia”.

Dal sito di Immuni, che rendiconta come e quanto è stata utilizzata l’applicazio­ne, arriva la conferma. Le notifiche di possibile esposizion­e al rischio di infezione non sono state nemmeno duecentomi­la. I download sono stati in totale quasi 22 milioni. Ma questi numeri sono stati raggiunti solo dopo l’introduzio­ne del certificat­o verde, quando si è avuto il picco degli scaricamen­ti.

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FOTO ANSA Device L’app Immuni

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