Il governo sembra l’eni: vuole quattro rigassificatori
Quattro rigassificatori in più: su due “si discute”, ad altri due “si pensa”. E intanto si potenziano i metanodotti da sud a nord perché quelli che già ci sono non bastano più. L’obiettivo del governo, oltre che aprire alle nuove rotte del gas dopo il progressivo prosciugamento dei flussi dalla Russia attraverso Tarvisio, è con l’occasione rispolverare il mito dell’italia come “hub europeo del gas” che prima dello scoppio della guerra tra Russia e Ucraina sembrava destinato ad essere archiviato in favore delle rinnovabili. E la comunanza di intenti tra il ministro dell’ambiente e l’eni lo conferma.
“SE VOGLIAMO arrivare ad una sicurezza energetica abbiamo bisogno di avere altri quattro rigassificatori per stare tranquilli”, ha detto l’ad di Eni Claudio Descalzi ricalcando quanto già detto dal ministro dell’ambiente e della sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, qualche giorno prima. Martedì, in commissione ambiente al Senato il ministro ha approfondito: “Potenziamento e sviluppo delle infrastrutture del gas permetteranno all’italia, data la sua posizione nel Mediterraneo, di diventare un hub europeo del gas, con evidenti vantaggi per i consumatori finali e la competitività del sistema”. Venerdì ha poi aggiunto che “i rigassificatori fissi di Gioia Tauro e Porto Empedocle fanno parte del piano nazionale che lo consentirà”. Il piano di Pichetto per il gas appare dunque ben preciso: dopo aver sbloccato le trivelle per quello nazionale, ora intende spostare “il baricentro dalla Germania all’italia che ha una condizione di essere luogo di primo afflusso e smistamento”. In questa ottica, secondo il ministro, va sostenuto l’incremento della capacità delle infrastrutture esistenti. “I benefici derivanti da ulteriori due rigassificatori sui quali si stanno facendo delle riflessioni saranno nulli se non sarà rafforzata la linea adriatica, al momento satura”, ha detto.
I due rigassificatori di cui parla il ministro sono quello di Porto Empedocle (Sicilia) e di Gioia Tauro (Calabria), il primo progettato da Enel e che vale 8 miliardi di metri cubi di gas, e l’altro di Sorgenia e Iren che ne vale 8-12 miliardi. Il progetto di Enel era stato fermato circa sette anni fa, ma il finanziamento di un miliardo per la sua realizzazione è stato sbloccato ad aprile 2022. A fine marzo è stato approvato il progetto per il secondo. Ora tornano in ballo con diverse incognite: dalla resistenza dei territori ai tempi, fino alla compatibilità con i target di decarbonizzazione che l’italia ha dichiarato di perseguire. L’avvio dei due rigassificatori richiederebbe infatti come minimo tre anni, per costruire queste strutture da zero ne servono non meno di 4, per le autorizzazioni tra i 5 e i 6 minimo. Rientrare nell’investimento, invece, potrebbe richiedere almeno due decenni.
Ma non è solo una questione di rigassificatori. Se le due navi metaniere che dovrebbero arrivare, forse, dalla primavera si trovano a Ravenna e Piombino è proprio perché la dorsale adriatica, ovvero i gasdotti che vanno da sud a nord sono saturi e hanno raggiunto il massimo della loro capacità. Per questo, l’altro ritornello che si ripete è la necessità di rafforzare la dorsale. In pratica, mettere nuovi tubi. I progetti sono partiti: la settimana scorsa Pichetto Fratin ha autorizzato con decreto la tratta Sulmona-foligno e l’impianto di compressione: 170 chilometri di tubi tra Abruzzo, Marche, Lazio e Umbria che a ottobre erano stati deliberati dalla presidenza del Consiglio per superare il dissenso in conferenza di servizi. La “Linea adriatica” si compone poi di altri quattro tratti autonomi (sono in grado di funzionare anche indipendentemente dagli altri), due già esistenti e due da realizzare: Massafra-biccari, 195 chilometri tra Puglia e Basilicata (in esercizio dal 2012); Biccari-campochiaro (73 chilometri tra Puglia, Campania e Molise, in esercizio dal 2016); Foligno-sestino, 114 chilometri tra Umbria, Marche e Toscana e il cui iter autorizzativo è in corso e Sestino-minerbio, 141 chilometri tra Toscana ed Emilia-romagna che ha ottenuto la Via e l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio. In totale, come ha spiegato anche l’ad di Snam, Stefano Venier, si tratta di 450 chilometri per un impegno di circa 2,5 miliardi. Potrebbero essere pronti, nella migliore delle ipotesi, nel 2027, e serviranno per il nuovo gas di Eni in arrivo dall’africa&c.
IL MINISTERO DICE SÌ ECCO PURE IL NUOVO GASDOTTO ADRIATICO: IMPIANTI CHE DEVONO LAVORARE DECENNI
INTANTO
le rinnovabili - per quanto continuino a essere dichiarate prioritarie - saranno evidentemente in “competizione” con queste nuove infrastrutture. “Non ha molto senso oggi investire in infrastrutture che richiedono 20-25 anni di tempo di ammortamento - spiega Nicola Armaroli, chimico e dirigente di ricerca del Cnr -. Se si va avanti con le rinnovabili, il consumo e la domanda di gas inevitabilmente diminuiranno. E chi sarà a investire in perdita? I privati o lo Stato?”. Neanche l’idea dell’indipendenza italiana del gas è così semplice. “Dove si riforniscono queste strutture? Lasciamo la Russia per affidarci a un modello di dipendenza da Paesi con dubbi standard democratici e con alcuna certezza sugli approvvigionamenti costanti nel tempo. È evidente che l’interesse economico di qualcuno non coincide con quello generale del Paese”.