Tra i battezzati Il “selvatico” Giovanni contro la “razza di vipere” arroganti
Siamo nel deserto. Si sente una voce. Matteo scrive che si tratta di quella di Giovanni Battista, ma noi Giovanni non lo vediamo. Sentiamo una voce nel nulla, nel vuoto. Chiaro che avrà avuto davanti a sé delle persone, ma neanche queste vediamo. L’effetto di questa mancanza di dettagli visivi è che la voce mi raggiunge direttamente, la sento, rimbomba nella pagina scritta come se essa fosse una distesa arida e assolata. Di Giovanni il profeta Isaia aveva detto: “Voce di uno che grida nel deserto”. È dunque un grido il suo, non una predica. Un grido lungo. E che cosa grida questa voce? “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”. Si sta avvicinando un regno, come per una conquista, un assalto. È il regno dei cieli. È imminente. Si sente nelle parole di Giovanni un impeto, un’urgenza, come se i cieli stessero per inarcarsi in basso verso la terra. Mentre Matteo scrive, sente arrivare all’orecchio anche la voce dalle antiche profezie che avevano anticipato il grido di Giovanni. Passato e presente si mescolano. All’appello alla conversione si sovrappongono le parole antiche di Isaia: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!”.
Ma ecco che all’audio a tutto volume si unisce l’immagine, all’improvviso. Vediamo un uomo che “portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi”. Pelle e peli. Lo vediamo portare alla bocca il suo cibo, che “erano cavallette e miele selvatico”. C’è un carattere selvatico in Giovanni che rende ancora più impressionante il suo grido. Ed ecco che l’ottica di Matteo si allarga a grandangolo a inquadrare la gente. E ci rendiamo conto che non siamo in un deserto vuoto, niente affatto: “Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui”. Sembra di vedere persone che accorrono e fluiscono sulla sabbia del deserto per ascoltare le parole di Giovanni e farsi “battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati”.
Il deserto è bagnato dall’acqua, dove la gente si immerge per sperimentare una rinascita.
L’OBIETTIVO DI MATTEO cambia punto di vista: all’improvviso vediamo in soggettiva con gli occhi di Giovanni. E che cosa vediamo? “Molti farisei e sadducei”. Ma loro non sono lì per farsi battezzare, ma per controllare, capire, sedare. Non vediamo più nulla. Buio. Resta la voce, come all’inizio. Ascoltiamo la voce di Giovanni scaldarsi, accendersi nei toni, che diventano duri, accusatori: “Razza di vipere!”, urla. E prosegue interrogandoli: “Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente?”. Non c’è nulla che possa rendere gradevole il messaggio della voce, che schiocca come frusta. Le illusioni cadono. Giovanni indaga nel cuore di coloro che lui chiama “vipere”, e vede che c’è in loro un senso di sicurezza che deriva dall’essere figli di Abramo, come se questo bastasse, come se ci fosse un’immunità, una garanzia per nascita. “Io vi dico – urla Giovanni – che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo”. Non c’è patente di immunità che tenga.
Il tono acceso di Giovanni si coagula in un’immagine inquietante: la scure, che già “è posta alla radice degli alberi”. Il colpo sta per essere vibrato sull’albero che non dà frutto. E lo sguardo, alla fine, resta fisso sul “fuoco inestinguibile” che brucerà quel legno. E tuttavia non è l’ultima parola. Giovanni annuncia un altro fuoco, quello col quale battezzerà uno che verrà dopo di lui e che sarà più forte di lui. Non un fuoco di distruzione, ma di purificazione e rigenerazione. La scena infuocata si apre sul Messia che sta per venire.
L’IRA DI DIO IL MESSIA È ANNUNCIATO DAL BATTISTA CON MOLTI RIMPROVERI E FIAMME