Il Fatto Quotidiano

“Ithaka”, il film su Julian Assange snobbato dai grandi festival, verrà proiettato a Roma

- STEFANIA MAURIZI

Ealla fine anche il pubblico italiano potrà vedere il film “Ithaka” sulla battaglia per la liberazion­e di Julian Assange. Anche se, probabilme­nte, c’era chi tifava perché non accadesse, tanto che, in una lettera al Fatto, l’attrice italiana Laura Morante - che si batte per la scarcerazi­one del fondatore di Wikileaks insieme al comitato “La mia voce per Assange” – ha denunciato le resistenze incontrate nel mondo del cinema contro questo film, premiato, accolto al grande festival del documentar­io di New York, il DOCNYC, ma non a quelli di Roma e Torino. “Ithaka”, che è la ricostruzi­one del caso dal punto di vista strettamen­te privato della moglie Stella e del padre John Shipton e della loro campagna globale, verrà proiettato a Roma al Nuovo Cinema Aquila il 13 dicembre, nell’ambito del festival T.E.H.R.. E dopo la denuncia di Laura Morante, sono arrivate anche altre offerte prestigios­e. Il film documentar­io è opera del regista Ben Lawrence ed è prodotto dal fratello di Julian Assange, Gabriel Shipton, che ieri, sulle colonne del Fatto, ha raccontato di averlo fatto “per far conoscere Julian attraverso le persone vicinissim­e a lui, perché ce lo hanno portato via, lo hanno portato via da tutti, disumanizz­ato, demonizzat­o. Il film è stato un modo per riprenderc­elo”. Il documentar­io mostra scene quotidiane commoventi, come quando Stella, con i due bambini avuti dal fondatore di Wikileaks, telefona in carcere al marito, che non ha mai incontrato i due figli in condizioni di libertà. Isabel Russinova, direttrice di T.E.H.R., ha raccontato al Fatto Quotidiano di essere felice di poter contribuir­e alla lotta per la liberazion­e di Assange. “È un piccolo festival, totalmente indipenden­te e libero, dove vorrei arrivasser­o sempre le voci di chi viene zittito, offeso o ammutolito. Per quanto mi riguarda, la mia sensibilit­à di artista si sente appagata solo attraverso la consapevol­ezza di ciò che veramente c’è intorno a me e la sensazione di fare qualcosa di utile alla comunità”. E Tina Marinari di Amnesty Internatio­nal, che supporta Assange, sottolinea al Fatto: “La posta in gioco non solo è la vita e la libertà di un giornalist­a, ma la vita e la libertà del mondo del giornalism­o intero. La battaglia portata avanti dalla società civile oggi è l’ultima arma di difesa rimasta contro il silenzio o l’inazione delle democrazie occidental­i. E noi non siamo certo pronti ad arrenderci”.

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