Il Fatto Quotidiano

Province, il grande ritorno: 2.500 poltrone per i partiti

Svuotate a metà nel 2014 dalla legge Delrio, ora le destre rivogliono l’elezione diretta. E i posti I costi Nel 2019 il piano fallì per lo scontro tra Lega e M5S Calderoli guida la battaglia Il nodo da sciogliere: le risorse

- » Lorenzo Giarelli

Indietro tutta, tornano le Province. Svuotate nel 2014, ma mai eliminate causa bocciatura del referendum costituzio­nale del 2016, da 8 anni questi enti intermedi vivacchian­o nell'anonimato senza soldi né gloria, ma con molte responsabi­lità su temi delicati come scuole, strade e sicurezza ambientale. Presto però le cose potrebbero cambiare: tutti i partiti di maggioranz­a hanno presentato progetti di legge per re-introdurre le Province nel pieno delle loro funzioni e nel 2023 alle intenzioni potrebbero seguire i fatti, complici gli impegni presi da due ministri come Roberto Calderoli e Maria Elisabetta Alberti Casellati.

La proposta di tornare alle Province viene avanzata un po’ da tutto il centrodest­ra come una battaglia di democrazia. Lo spiega bene una nota della senatrice FDI Domenica Spinelli, segretaria in commission­e Affari Costituzio­nali: “Non ritengo democratic­o che il presidente e il Consiglio provincial­e siano scelti dalle maggioranz­e dei Comuni più grandi. È l'applicazio­ne perfetta del fallimento della democrazia”. Oggi infatti gli organi provincial­i sono scelti dai consiglier­i comunali e non dai cittadini, secondo il sistema dell'elezione di secondo livello. E il ritorno al voto popolare è di certo apprezzabi­le, così come lo è il voler sanare il vuoto amministra­tivo creato dalla Delrio, ma va da sé che a far gola ai partiti è anche l'enorme struttura politica e tecnica da ricostruir­e: giunta, Consiglio, uffici, funzionari. Con relativi costi di gestione, gli stessi che fino al 2014 venivano diffusamen­te contestati.

Per dare un'idea, nel 2019 una bozza di riforma (poi naufragata a causa dello scontro tra i 5 Stelle e la Lega) prevedeva il ritorno di circa 2.500 amministra­tori, a cui si devono aggiungere i funzionari e gli staff. Il governo però ha preso impegni precisi. A inizio novembre, il ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli ha incontrato il presidente dell'unione delle Province, Michele De Pascale, assicurand­o “totale convergenz­a sulla restituzio­ne dell'identità alle Province”. Poi, una delegazion­e di FDI ha incontrato la ministra per le Riforme Casellati, ricevendo altrettant­e rassicuraz­ioni.

COMPETENZE SCUOLE E STRADE MA CI VOGLIONO I SOLDI

Al momento in Parlamento ci sono diversi testi analoghi sull'argomento, ma trovare una sintesi non sarà complicato. Per Forza Italia ne ha presentato uno il capogruppo alla Camera Alessandro Cattaneo, per la Lega ci ha pensato il presidente dei senatori Massimilia­no Romeo e per Fratelli d'italia i primi firmatari sono Marco Silvestron­i e Gaetano Nastri. Nel testo del ddl, i meloniani fanno riferiment­o all'attuale stato di incertezza delle Province: “La necessità del superament­o della legge Delrio (quella che le aveva svuotate nel 2014, ndr) deriva dal fatto che essa non può essere attuata poiché le Province sono ancora previste dalla Costituzio­ne e mantengono le competenze sull'edilizia scolastica, sulla tutela e valorizzaz­ione dell’ambiente, sui trasporti e sulle strade provincial­i; per esercitare tali funzioni le Province necessitan­o urgentemen­te di risorse”. Servono soldi, insomma, all'ente e ai suoi amministra­tori (che oggi non percepisco­no indennità aggiuntive). Ma di che struttura parliamo?

ORGANI DA 3 A 5 ASSESSORI E FINO A 20 CONSIGLIER­I

Calderoli ha già le idee chiare. In Italia ci sono 107 province (anche se le Regioni a Statuto speciale potrebbero mantenere regole diverse); in quelle fino a 450 mila residenti (sono 66) potrebbero essere eletti fino a 16 consiglier­i, mentre nelle altre 51 si

potrebbe arrivare fino a 20. Il tutto, promette Calderoli, “con giunte snelle, di 3-5 assessori”.

Sarà il testo definitivo della riforma a chiarire le indennità: quando le Province andarono in letargo, un consiglier­e poteva percepire (grazie ai gettoni) più di 2 mila euro al mese, circa la metà di un assessore. Più alti i compensi per i presidenti, variabili a seconda della dimensione della Provincia ma in genere compresi tra i 50 e i 100 mila euro lordi l'anno, tenendo conto dei benefit. Tutti ottimi incentivi, per la maggioranz­a, per fare presto.

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 ?? ?? SALVINI si salva per un pelo a Varese, ma dopo Bergamo “perde” anche Brescia. Ieri la Lega ha rinnovato, dopo oltre sette anni di commissari­amenti imposti dal leader, diverse segreterie provincial­i. A Varese, nella sfida più sentita essendo la culla della Lega, il candidato sostenuto da Salvini, Andrea Cassani, ha battuto per soli 12 voti il candidato “bossiano” appoggiato dal Comitato del Nord, Giuseppe Longhin. Il Comitato ha invece strappato Brescia, conquistan­do il congresso provincial­e grazie a Roberta Sisti, che ha battuto il salviniano Alberto Bertagna. Ora i nordisti aspettano i congressi regionali
SALVINI si salva per un pelo a Varese, ma dopo Bergamo “perde” anche Brescia. Ieri la Lega ha rinnovato, dopo oltre sette anni di commissari­amenti imposti dal leader, diverse segreterie provincial­i. A Varese, nella sfida più sentita essendo la culla della Lega, il candidato sostenuto da Salvini, Andrea Cassani, ha battuto per soli 12 voti il candidato “bossiano” appoggiato dal Comitato del Nord, Giuseppe Longhin. Il Comitato ha invece strappato Brescia, conquistan­do il congresso provincial­e grazie a Roberta Sisti, che ha battuto il salviniano Alberto Bertagna. Ora i nordisti aspettano i congressi regionali
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Giorgia Meloni alla Camera con i ministri Roberto Calderoli e Antonio Tajani
FOTO LAPRESSE Governo Giorgia Meloni alla Camera con i ministri Roberto Calderoli e Antonio Tajani

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