Il Fatto Quotidiano

Meno nucleare e poco “green”: e il costo cresce

L’energia aumenta più del gas

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Nel silenzio generale il prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso, il cosiddetto Prezzo Unico Nazionale (PUN) è tornato a 380 euro per MWH, il che vuol dire che per un cliente di media e bassa tensione il costo finale è di circa 510 euro. La novità è che il prezzo non è salito solo in valori assoluti, ma anche rispetto al prezzo del gas: negli anni passati l’energia elettrica era scambiata al doppio del prezzo del gas per MWH, se questa regola non scritta fosse ancora valida il prezzo di venerdì scorso dovrebbe essere di 100 euro più basso.

Nel recente passato - abbondanza di combustibi­le fossile, energia a basso prezzo importabil­e dalle centrali nucleari francesi e un costante aumento della produzione dalle rinnovabil­i - l’energia elettrica era venduta a un livello che consentiva alle centrali di coprire solo i costi variabili di produzione. Investire in centrali elettriche tradiziona­li non era un buon business e infatti i grossi player del settore non lo hanno fatto: dal 2012 siamo passati da 212 TWH prodotti da combustibi­li fossili ai 170 TWH del 2021.

Nel nuovo scenario determinat­osi con la guerra in Ucraina i produttori possono riportare i prezzi sui livelli che remunerino il capitale e coprano i rischi, primo fra tutti quello di approvvigi­onamento. L’incertezza e la variabilit­à delle forniture via mare suggerisco­no di mettere un poco di fieno in cascina quando ce n’è l’opportunit­à. Opportunit­à ampliata anche dal venir meno dell’importazio­ne di energia a basso prezzo dalla Francia, malmessa a causa della prolungata manutenzio­ne delle centrali nucleari d’oltralpe. L’italia importa mediamente il 13% dell’energia dall’estero, di questo il 78% dalla Francia anche via cavidotti svizzeri, il cui prezzo d’acquisto per il 2023 è 440 euro per MWH e l’italia ne risente con prezzo di 340 euro per lo stesso periodo.

Nel piano energetico del governo Draghi non è mai stata ipotizzata una riduzione dei flussi d’importazio­ne elettrica dall’estero nonostante che fin da luglio fosse chiaro che le centrali francesi non sarebbero tornate tutte in produzione, evento prezzato dal mercato con un costo dell’energia francese nel 2022/23 superiore a quello italiano.

Il piano affermava poi: “In tutti gli scenari valutati è di fondamenta­le importanza che il primo rigassific­atore galleggian­te entri in funzione entro gennaio 2023”. Il riferiment­o è a Piombino, previsione che già a luglio pareva irrealisti­ca e oggi è nella categoria dell’impossibil­e. Inoltre si prevedevan­o 8 GW di nuovi impianti di energie rinnovabil­i che sarebbero entrati in funzione entro il 2024: realistica­mente arriveremo massimo a 5 GW.

C’è poi una costante incertezza - tasse retroattiv­e, tetti al prezzo delle rinnovabil­i (anch’essi retroattiv­i) e fantasiose proposte legislativ­e e regolament­ari - che frena gli investimen­ti e suggerisce agli operatori di mantenere i prezzi sostenuti. Si pensi al recente provvedime­nto Antitrust nei confronti di Iren che, oltre a imporre la non modificabi­lità unilateral­e delle condizioni contrattua­li alla clientela (stabilita per legge), vieta alla società di modificare anche le condizioni dei contratti scaduti o in scadenza. In pratica obbliga la società a mantenere i prezzi del 2021 sino ad aprile del 2023 a fronte di costi dell’energia più che triplicati.

Tutti gli operatori del settore aspettano ora la decisione del Tar del Lazio sul ricorso presentato proprio da Iren: se dovesse essere favorevole all’authority, tutti dovrebbero adeguarsi con danni probabili per una decina di miliardi. Questo non potrà non provocare un aumento del rischio di insolvenza delle società di vendita e spingerà i produttori di energia ad aumentare i prezzi per coprire il rischio di credito. Con questi chiari di luna e con il prezzo del gas che è previsto stabilment­e sopra i 120 euro sino al 2024 nessuno nel mercato crede ad un calo significat­ivo delle quotazioni dell’elettricit­à.

I sussidi del governo per le bollette, che costano quasi 22 miliardi durano sino a marzo: cosa succederà dopo? Una domanda che l’esecutivo dovrebbe porsi fin da subito.

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