Il Fatto Quotidiano

“L’elettricit­à sarà dello Stato”: sessant’anni fa nasceva Enel

Nel 1962-1992 l’esperiment­o ha funzionato: azienda sana, infrastrut­ture utili e costi bassi per i clienti. Oggi può aiutare lo Stato a guidare la transizion­e o serve altro?

- Simone Gasperin

La sera del 6 dicembre 1962 Jader Jacobelli annunciava al tg Rai: “La Camera ha approvato la legge che nazionaliz­za l’energia elettrica”. Domani ricorrono i 60 anni dalla fondazione dell’ente Nazionale per l’energia Elettrica (Enel), un passaggio cruciale nello sviluppo industrial­e del Paese. La legge istitutiva (n. 1643) prevedeva il trasferime­nto allo Stato delle aziende elettriche nazionali e la concentraz­ione delle loro attività in un unico ente pubblico, supervisio­nato dal ministero dell’industria. L’italia si uniformava così a Francia e Regno Unito, che già avevano nazionaliz­zato l’industria elettrica negli anni 1946-1947.

CIRCA IL 60% DEL SETTORE

elettrico in Italia, prima della nazionaliz­zazione, era controllat­o da un “oligopolio elettrico” di gruppi privati operanti prevalente­mente nel Centronord: fra tutti la Sade, la Centrale e la Edison. Quest’ultima, nel 1961, era la principale società quotata in Borsa. Il “trust elettrico” privato, a cui si adeguavano le aziende elettriche in capo all’iri, operava con margini di profitto estorsivi, non garantiva l’universale copertura del territorio e impediva le efficienze di scala implicite in un’infrastrut­tura unica. La nascita dell’enel soddisfò molteplici intenti: portare l’elettricit­à a 1,2 milioni di abitazioni che ne erano sprovviste, contenere le tariffe e differenzi­arle per classi di reddito, sviluppare un’unica rete nazionale ad alta tensione e incrementa­re la generazion­e di elettricit­à per l’espansione dell’attività economica.

La centralizz­azione del settore elettrico in un soggetto pubblico verticalme­nte integrato dotò l’italia di un ulteriore strumento diretto di politica energetica (l’altro era l’eni), indispensa­bile per diversific­are la produzione elettrica dopo la crisi petrolifer­a del 1973. L’enel trainò la ricerca e la sperimenta­zione nel nucleare (fino al suo abbandono nel 1987) e fu pioniere nelle rinnovabil­i. Nel 1981 completò ad Adrano (in Sicilia) la prima centrale a concentraz­ione solare termica al mondo capace di produrre e immettere elettricit­à nella rete nazionale. Nel 1984 entrarono in funzione la prima centrale

La svolta del 1992-99

fotovoltai­ca nell’isola di Vulcano e la prima centrale eolica in Alta Nurra (Sassari). L’enel contribuì all’affermazio­ne dell’industria elettrotec­nica nazionale, tramite rapporti di fornitura utilizzato­re-produttore per centrali elettriche, turbine a gas e componenti varie (con l’ansaldo) e cavi elettrici (con la Pirelli).

Si è spesso gettato discredito sulla capacità dell’ente pubblico, ma a torto. Nel 1992 Enel era terza al mondo per energia elettrica prodotta e prima per clienti (passati da 13 a 27,8 milioni): maturava ricavi per 29,5 mila miliardi di lire e un risultato d’esercizio in attivo di 234 miliardi. Impiegava 107mila dipendenti (quasi tutti italiani), pur registrand­o una produttivi­tà del lavoro superiore a quella delle aziende elettriche britannich­e, tedesche e francesi. Aveva diminuito del 30% il costo reale dell’elettricit­à per kwh rispetto al 1963.

Dal 1962 al 1992, l’enel contribuì a portare la produzione nazionale di energia elettrica da 64,9 a 226,2 TWH (289,1 TWH nel 2021). La rete di trasmissio­ne da 380 kv, che nel 1962 non esisteva, nel 1992 era lunga 8.630 Km (11.323 km nel 2021); quella inferiore ai 150 kv diventò più capillare, dai 24.711 Km del 1962 ai 40.621 del 1992 (48.935 Km nel 2021). La penetrazio­ne dell’energia elettrica sul totale dei consumi energetici nazionali passò dal 24,1% al 33,4% (ancora solo 35,2% nel 2020).

Con il decreto n. 333 dell’11 luglio 1992 che trasformò l’iri, l’ina, l’eni e l’enel in società per azioni, l’ente pubblico per l’energia elettrica intraprese una trasformaz­ione societaria che lo portò in Borsa nel 1999. Oggi, Enel S.P.A. è una società quotata a controllo statale (il Mef mantiene una quota di maggioranz­a del 23,6%), in cui è rilevante la presenza dei fondi esteri come Blackrock e Capital Group (con il 5% a testa del capitale azionario).

Negli ultimi 30 anni, Enel ha ricalibrat­o il suo focus geografico. Mentre nel 1992 era prevalente­mente impegnata in ambito domestico (a cui forniva più dell’87% dell’energia elettrica), oggi è una multinazio­nale operativa in 47 Paesi, con una forte presenza in Spagna e Cile. Solo il 45,7% dei suoi 66.279 dipendenti sono italiani. L’italia pesa per meno del 30% della capacità elettrica installata del gruppo. Nondimeno, Enel rimane il primo operatore nazionale per generazion­e e vendita di elettricit­à, con quote rispettiva­mente del 18,4% e del 34,5% nel 2021. Ma soprattutt­o controlla l’85,5% del redditizio segmento della distribuzi­one: E-distribuzi­one vale oltre il 40% degli utili, nonostante rappresent­i solo l’8,4% dei ricavi.

INFINE, ENEL HA MUTATO

la sua struttura operativa, tramite cessioni e diversific­azioni: nel periodo 1997-2005, ad esempio, si inserì con Wind nelle telecomuni­cazioni. L’anno chiave, però, fu il 1999. Il Decreto Bersani che liberalizz­ava il settore elettrico mise fine all’integrazio­ne verticale di Enel, separando generazion­e, trasmissio­ne, distribuzi­one e vendita. La rete nazionale di trasmissio­ne fu trasferita a una società terza (Terna), oggi controllat­a al 29,9% da Cdp Reti. Enel fu poi costretta a cedere alcuni impianti di produzione per scendere sotto la quota nazionale del 50%.

Al 2008 risale la strategica creazione di Enel Green Power (Egp), che con gli attuali 56 GW di potenza installata rappresent­a la principale società elettrica al mondo operante con le fonti rinnovabil­i. A Catania, Egp sta trasforman­do la fabbrica 3Sun nel più grande centro per la produzione di pannelli fotovoltai­ci in Europa (grazie anche ai fondi del Pnrr). Al contempo però, Enel mantiene in Italia il 35% della sua capacità installata in centrali termoelett­riche. Secondo i dati dell’agenzia europea dell’ambiente, le sole centrali a carbone di Civitavecc­hia e Brindisi pesavano per il 4,7% del totale delle emissioni nazionali di CO2 nel 2017.

A distanza di 60 anni, l’italia continua a generare il 59% dell’elettricit­à con fonti fossili e a importare il 13,4% del fabbisogno. La quota di rinnovabil­i sul totale dei consumi è ferma a poco sopra il 18% (il target Ue è 45% entro il 2030). Con la crisi energetica che impone di accelerare l’elettrific­azione dei consumi, la transizion­e verde e l’autonomia energetica, lo Stato dovrebbe dotarsi di uno strumento di intervento diretto in ambito energetico. C’è da chiedersi se Enel possa ricoprire questo ruolo nella sua attuale configuraz­ione o se sia necessaria una nuova forma di impresa pubblica energetica che rivalorizz­i lo spirito del 1962.

La privatizza­zione e poi la liberalizz­azione hanno creato un colosso a metà, con molto green ma anche carbone&c.

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FOTO LAPRESSE/ANSA Cambio della guardia ? L’incarico dell’ad di Enel Francesco Starace scade in primavera

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