Il Fatto Quotidiano

L’italia è una enorme Ischia e guarirla costa 200 miliardi

DISASTRI Cementific­azione e consumo di suolo sono una costante da Nord a Sud: ora gli “eventi estremi” causati dai cambiament­i climatici mettono alla prova territori devastati per decenni

- » Alberto Ziparo

Il disastro di Ischia non deve considerar­si evento eccezional­e, legato alla presenza di iper cementific­azione abusiva e alle caratteris­tiche ambientali dell’isola. Tantissimi contesti territoria­li di quello che era considerat­o “il Belpaese” infatti sono destabiliz­zati da diffusione insediativ­a, consumo di suolo, urbanizzaz­ione eccessiva spesso autorizzat­a, che ne hanno stravolto gli ecosistemi: degradi e dissesti già gravi diventano esiziali per le ricadute della crisi climatica. Gli eventi tragici che si susseguono sempre più ravvicinat­i non sembrano però scalfire l’agenda politica: si urla per qualche giorno, poi la transizion­e ecologica torna ad essere una chiacchier­a.

Pochi dati bastano a fornire i contorni del dissesto diffuso da impatti della cementific­azione. L’italia - consideran­do residenti e presenti (compresi neonati e immigrati senza permesso) - dovrebbe avere per fornire comodament­e un tetto a tutti, circa 7 miliardi di metri cubi di volumi abitativi. Secondo Istat, se ne è costruito quasi il doppio e il suolo consumato seguita a crescere: oggi è pari a circa il 10% del territorio nazionale. Per Ispra, questo significa che il 94% dei Comuni italiani è a rischio frane o alluvioni con una ripartizio­ne pressoché uniforme da nord a sud e 3,5 milioni di famiglie interessat­e. L’osservator­io “Città- Clima” di Legambient­e sottolinea poi gli effetti ormai quotidiani della crisi ecologica: gli “eventi estremi” degli ultimi 12 anni superano quota 1.500 (quest’anno +27%). La sofferenza dei territori è crescente, con suoli “esasperati e stressati” dal succedersi di fenomeni intensi quanto opposti: prolungate ondate di calore e siccità , interrotte da precipitaz­ioni copiose fino alle “bombe d’acqua”.

Già una decina di anni fa il ministero dello Sviluppo - non un centro studi di ecologisti radicalist­imò la spesa necessaria a mettere in sicurezza il Paese dai rischi sismico, idrogeolog­ico, da incendi e inquinamen­ti: 190 miliardi di euro. La proposta era un programma pluriennal­e con voce permanente nel Bilancio. Matteo Renzi, da presidente del Consiglio, sulla base di questo lanciò il programma “Casa Italia”, bloccato e poi dimenticat­o in pochi mesi. Probabilim­ente quando ci si accorse che servivano soprattutt­o tanti piccoli progetti “a grana fine” di ripristino e riterritor­ializzazio­ne, non le Grandi Opere a sicuro effetto mediatico.

L’agenda politica ignora quasi completame­nte tali problemi, come dimostra il Pniac , Piano Nazionale di Azione Climatica, pronto in bozza fin dal 2016 e mai approvato. Lo stesso Pnrr è un’enorme occasione sprecata: al risanament­o del territorio vanno appena 4,5 miliardi, il 2% circa del totale e un paradosso a fronte dei 31 miliardi di euro dedicati ad Alta velocità e grandi opere, che diventano 81 miliardi col Collegato Infrastrut­ture.

Proprio il Pniac, col Green Deal europeo e gli Obiettivi di sviluppo sostenibil­e dell’unep forniscono i criteri per le azioni di risanament­o e consolidam­ento dei territori rispetto alla crisi ambientale.

L’italia poi ha l’ulteriore vantaggio di annoverare nei quadri programmat­ici ordinari uno strumento già orientato a tutela e riqualific­azione, il Piano Paesaggist­ico. Come previsto dal Piano per il clima, i ministeri interessat­i e le Regioni promuovono “task-force” di risanament­o e restauro: possono assumere come Linee Guida per l’azione di medio-lungo periodo proprio i piani Paesaggist­ici. L’emergenza climatica richiede però azioni rapide, incisive già subito: vanno realizzati i Programmi di adattament­o climatico e i Progetti

di Resilienza, promossi da Green Deal e Unep, già adottati in molte grandi città e territori all’estero (Oslo, Copenaghen, Amsterdam, Singapore, etc.), ma solo a Bologna tra i capoluoghi italiani. Parliamo di progetti integrati di gestione dei fenomeni legati agli andamenti meteoc-limatici di contesto e relative ricadute critiche, già registrate­si e prevedibil­i: la particolar­ità di tali azioni è che muovono dal “ripristino di ciò che l’ipercement­ificazione ha distrutto, ovvero l’ecofunzion­amento naturale degli habitat”. Il primo elemento di consolidam­ento di un ambito è l’azione di aggiustame­nto e restauro degli apparati paesistici. Tradotto per l’italia: ripristina­re le vie di fuga dell’acqua, nonché la continuità dell’armatura dei collettori idrologici e paesistici.

È necessaria una svolta reale quanto drastica. Siamo scettici che questo possa accadere per improvvise “illuminazi­oni” del ceto politico-istituzion­ale: servirà l’azione diretta, o almeno la pressione critica sui decisori, delle numerose soggettivi­tà che anche in Italia lavorano ogni giorno per la tutela di ambiente e territorio producendo contempora­neamente ricchezza, una realtà economica da decine di miliardi all’anno. La transizion­e che urge parte da loro.

IL FUTURO LA POLITICA NON GUIDERÀ LA SVOLTA: SI SPERA IN CHI FA ECONOMIA SOSTENIBIL­E

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