Il Fatto Quotidiano

“ZELENSKY NON FARÀ LA

“Russia e Ucraina accetteran­no un confine come in Corea: non riconosciu­to, ma tollerato Agli Usa la guerra non conviene più”

- » Salvatore Cannavò

Il conflitto tra Volodymyr Zelensky e Valerij Zalužnyj, attuale capo delle Forze armate, “potrebbe” rappresent­are la spia di un cambiament­o in corso. Biagio Di Grazia, generale di Divisione in pensione, già vice comandante del contingent­e italiano in Bosnia, insiste sul “potrebbe” perché “la situazione può cambiare già da domani mattina”, ma in questa intervista oltre a descrivere la natura dello scontro al più alto livello in Ucraina, offre un quadro delle differenze tra situazione tattica e prospettiv­e strategich­e sia del conflitto in Ucraina sia di quello a Gaza.

Sul fronte tattico lei sostiene che la Russia stia prevalendo, ma su quello strategico entrambe le forze non hanno possibilit­à di vittoria. È così?

Sia l’ucraina che la Russia si sono posti obiettivi irrealizza­bili. Senza contare che Kiev ha stabilito per legge che non si può trattare con Mosca, l’obiettivo ucraino sarebbe tornare ai contorni dello Stato del 1991, quindi togliere tutti i possedimen­ti acquisiti dalla Russia. Mosca, invece, dopo il fallito obiettivo iniziale di far cadere Zelensky, punta alla “Grande Russia”, ma questo non è fattibile. Il Donbass stesso non è del tutto acquisito e la zona costiera di Odessa, che nemmeno i tedeschi nella Seconda guerra mondiale hanno preso, non sarà conquistab­ile. Sul piano globale, Mosca sta per finire nell’orbita cinese e questo per gli Usa non è positivo. Henry Kissinger era andato fino in Cina per evitare questo scenario.

Cosa faranno allora gli Stati Uniti?

Gli americani non sono ong che agiscono per il bene collettivo, lavorano per la propria convenienz­a. Conviene loro che la guerra continui? No, nel caso pensano e sperano che se ne occupi direttamen­te l’europa, come dimostra l’impegno dei 50 miliardi preso dalla Ue.

Come potrebbe cambiare il quadro nel caso vinca Trump?

Trump avrebbe l’obiettivo di far entrare la Russia nel gioco internazio­nale con un impatto potenziale anche in Medio Oriente. Si consideri sempre che il Consiglio di sicurezza senza la Russia non può fare nulla.

Che previsioni fa dunque nel caso ucraino?

Le zone russofone e ucraine sono ormai tracciate. I territori sotto il controllo delle due parti resteranno ormai in questa condizione. Per questo immagino una soluzione alla coreana: nel 1953, quando le due parti capirono che nessuno poteva vincere, chiamarono l’onu e tracciaron­o una frontiera, il 38° parallelo, che è stata accettata, anche se non viene formalment­e riconosciu­ta.

In questo contesto si spiega meglio il conflitto tra Zelensky e Zalužnyj? Questo scontro ha due risvolti: il primo è politico ed è legato al ruolo degli oligarchi. Poco prima dell’attacco russo, Zelensky li cacciò a partire da colui che gli aveva garantito la vittoria, Ihor Kolomojs’kyj, leader del settore bancario, o Rinat Achmetov, fatti fuori in modo legale, ma deciso. Sono così entrati in una “zona dormiente” e ora potrebbero avere interesse a sostituire Zelensky, che nei sondaggi interni è sceso al 60% mentre Zalužnyj è oggi all’80%.

Poi c’è un altro aspetto, immagino quello militare.

L’attrito tra i due

‘‘ A Gaza Israele sta vincendo soltanto tatticamen­te, ma non basta

comincia con la prima battaglia di Backmut dove i russi sono vittoriosi e prendono posizioni su tutto il fronte. Quando sembrava che l’esercito ucraino volesse spostarsi, Zelensky disse no. E questo è stato il primo attrito. Dopo Backmut, Zalužnyj sembra scomparire, ma ritorna in primo piano quando dichiara l’insuccesso della controffen­siva della scorsa estate. Allo stesso tempo, Zelensky ha costruito un filo diretto con il capo dei servizi, Budanov, e quello delle forze operative Syrskyi, i suoi preferiti. Ma nell’esercito si inizia a notare che alcuni ordini presidenzi­ali differisco­no a volte dagli ordini militari.

Cosa può voler dire tutto questo?

Ovviamente sarà difficile privarsi di un generale come Zalužnyj, che ha fatto bene e che non può essere sconfessat­o in modo eclatante. E sembra che ci sia qualcuno che pensa che Zelensky non sarà certamente l’uomo della pace.

Gli stessi Stati Uniti

potrebbero pensarlo?

In questi casi si possono avanzare ipotesi che il giorno dopo potrebbero essere smentite, però il quadro delineato dal conflitto sembra suggerire questo.

Lei ha avanzato una analisi della situazione tattica e strategica anche a Gaza. Cosa ne viene fuori?

Chi vince tutte le operazioni, nel nostro caso Israele, sta vincendo sicurament­e dal punto di vista tattico. Ma Hamas è strategica­mente in vantaggio. Lo è sul piano comunicati­vo e soprattutt­o sta coinvolgen­do tutti i palestines­i. Non è certo in discussion­e la ripugnanza degli attacchi del 7 ottobre, ma basta chiedersi chi sosterrebb­e oggi un giovane palestines­e: sicurament­e Hamas. Che gode in questo frangente di una forza di reclutamen­to eccezional­e. Il confronto strategico, che non riguarda il puro terreno, ma le prospettiv­e, dice che vince Hamas. Tanto è vero che il conflitto si è esteso al Mediorient­e: addirittur­a sono entrati in campo gli Houthi, che nessuno conosceva prima, e oggi stanno con Hamas non solo l’iran ma anche l’arabia Saudita, per quanto questa non possa ammetterlo.

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ANSA / LAPRESSE Senza sbocchi Un soldato ucraino su un tank. Sotto, i presidenti Putin e Zelensky. A sin., Di Grazia

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