Il Fatto Quotidiano

“One Love” suona bene, nonostante gli attori impalati

Bob Marley: One Love Reinaldo Marcus Green

- » Federico Pontiggia

DUn biopic su Bob Marley, prodotto anche dal figlio Ziggy e Brad Pitt

ella morte, dell’amore. Bob Marley, scomparso appena trentaseie­nne l’11 maggio del 1981, lasciando una scia, musicale e più, incomparab­ile. Talento idiosincra­tico, one love fusionale, un’icona in fieri, che dal reggae investe attivismo e geopolitic­a, con un vocabolari­o che si fa esperanto, un’attitudine che fa proseliti: “Jah” e “Rastafari”, canne e dread, così salvifici da bloccare un proiettile “a un millimetro del cervello” della moglie Rita.

Per un ripasso o, esageriamo, un approfondi­mento, il 22 febbraio arriva nelle nostre sale Bob Marley: One Love, che con l’approvazio­ne e la collaboraz­ione della famiglia Marley celebra il nume reggae e il suo messaggio di unione universale. Per la prima volta sul grande schermo, lo incarna Kingsley Ben-adir, che è pure figo, ma “non buca” e “non balla”, mentre Rita è appannaggi­o di Lashana Lynch, un po’ musona: di due una coppia, a geometrie invero variabili, con una pletora di figli dal talamo coniugale e non, e i crismi della famiglia allargata ad libitum. Dirige il Reinaldo Marcus Green di King Richard, valso l’oscar a Will Smith, e il pregio ineludibil­e sono le canzoni, comprese quelle cui Ben-adir presta ugola propria: i produttori, nel novero il figlio di Bob Ziggy e Brad Pitt con la sua Plan B, sperano di confermare il successo dei “gemelli diversi” Bohemian Rhapsody ed Elvis, e le probabilit­à non mancano. Sceneggiat­ura di Terence Winter, Frank E. Flowers, Zach Baylin e lo stesso regista, nel cast anche James Norton, Tosin Cole, Umi Myers, Anthony

Welsh e Nia Ashi, la tranche de vie si taglia nel 1976 allorché Bob cerca di porre fine all’incipiente guerra civile con un concerto, che è tutto un programma: Smile Jamaica.

La musica può davvero cambiare il mondo? Qualcuno ci crede, a tal punto da tendere un agguato: Bob è pressoché incolume, Rita deve ringraziar­e le “treccine”, il manager Don Taylor si frappone tra killer e assistito e si becca qualche pallottola. Hanno tutti salva la vita, e Marley si esibisce, gettando cuore e decibel oltre l’ostacolo fratricida: ne viene qualcosa di buono, ma non tanto da consentirg­li di rimanere in patria. Parte alla volta dell’inghilterr­a, dove viene arrestato per possesso di gangia e registra quell’album capitale che è Exodus. C’è dell’altro, e nefasto: nel 1977 un infortunio sul campo di calcio, ovvero una ferita all’alluce, gli rivela un melanoma acrale. Ne decreterà la fine, non prima di due gioie ad alto voltaggio politico: il concerto in Zimbabwe nella sua Africa e quello in Giamaica, One Love Peace Concert, che farà stringere la mano ai due leader rivali Michael Manley ed Edward Seaga, entrambi bianchi. Sorprender­à i meno edotti che parimenti bianco fosse il padre, britannico, di Bob, mentre non desta sorpresa alcuna che Ziggy si ritagli sullo schermo un trattament­o da figlio unico, sebbene papino ne avesse un’altra dozzina.

Potenza della committenz­a, che calmiera la conflittua­lità del biopic e indora il prestigios­o rasta protagonis­ta: tra ska e reggae si insinua la canzone di una nota sola, apologetic­a, e non si uccidono così anche i pacifisti per partito preso, quello dell’amore? Il rischio è sensibile, ma One Love suona bene, ancor più sotto Sanremo: può bastare?

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy