È più facile superare il Covid che l’infanzia
Cinque aprile 2019. La quarantenne Isabel invidia al marito Dan il talento per il sonno, ma gliene è grata perché quando lui e i bambini dormono lei è immersa “nel proprio sogno a occhi aperti di notturna solitudine” domandandosi come sarebbe “sbarazzarsi di una vita come di un cappotto vecchio” e trovare una nuova strada, senza il peso delle ripicche. Quello che le succede “ha a che fare con la deriva, la sensazione che la forza di gravità non tenga più come prima”, che riguarda a sua volta l’amato fratello Robbie in procinto di lasciare la mansarda del loro appartamento, lo spazio latita!, e chissà dove andrà a finire, dati gli affitti esorbitanti a New York; con Dan, deciso a resuscitare una carriera da rockstar, mai davvero esistita, e che non è più la persona che sceglierebbe ogni giorno; col ruolo di madre che la fa sentire inadeguata. E poi il lavoro da photo editor, in cui eccelle, a rischio però, essendo l’editoria in crisi. Ha voluto tutto quello che ha, ma a un certo punto ogni cosa ha preso a sembrare claustrofobica, non abbastanza.
Robbie, insegnante di scuola media gay che avrebbe voluto diventare medico (a volte basta un dettaglio e la rotta cambia) è sensibile, acuto, ha un disperato bisogno d’essere amato e se nei sentimenti è
Il nuovo romanzo del Pulitzer Cunningham intesse fragili esistenze durante la pandemia
sfortunato è però un mito per i nipoti, 5 e 10 anni. Un po’ per scherzo, un po’ per intessere la vita di successo che non ha, gestisce un profilo Instagram fake. È di Wolfe, che se fosse reale sarebbe una di quelle persone “che sembrano non solo ottenere ciò che desiderano ma anche desiderare ciò che ottengono”, incarnazione adulta del fratellone brillante e protettivo che lui e Isabel si erano inventati da bimbi. E poi c’è Chess, insegnante universitaria lesbica che dal fratello di Dan – artista di feticistiche sculture intitolate alle opere di Shakespeare, che va tenuto a bada nelle sue richieste egoistiche – ha avuto un figlio in vitro. Nelle sue lezioni Chess cita la femminista Gornick e il suo saggio sulla fine del romanzo d’amore e su quegli scrittori, come Grace Paley, Willa Cather, Richard Ford, Andre Dubus, che hanno ripensato il romanzo smontando l’idea che il matrimonio sia asse portante e lo sia invece la libertà della donna al suo interno. È uno dei temi di Day, ultimo romanzo dello statunitense Michael Cunningham, 71 anni, Pulitzer per la narrativa con Le ore (1999), in cui gente comune fa i conti con ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, aspettative e attese, il peso dei compromessi, la complessità dei legami familiari, la voglia di rinnovamento. Scampoli di Covid, lockdown e riabilitazione alla vita animano il secondo e terzo atto della narrazione, a coprire due anni.
I personaggi tratteggiati da Cunningham, compresi i figli di Isabel e Dan, interessanti perché nel pieno di un processo di crescita, sono soggetti a una rivelazione-rivoluzione interiore con cui fare i conti. La pandemia funge da trigger. In una lettera indirizzata a Isabel, che scrive con l’unica penna che ha, mentre è bloccato in Islanda, Robbie dice: “Io amo il nuovo futuro, ammesso che sopravviveremo al presente... Ho qui una copia de Il Mulino sulla Floss. ‘Erano entrati nella selva spinosa, e i cancelli dorati dell’infanzia si erano chiusi per sempre dietro di loro’. Secondo te si sopravvive mai davvero all’infanzia?”. Chissà.