Il Fatto Quotidiano

Fca, Mediaset e moda: gli accordi (a sconto) per far pace con il fisco

- » Gianni Barbacetto

Èla più grande caccia al tesoro mai realizzata, quella ai soldi nascosti al fisco. Una caccia globale, che coinvolge tutto il mondo. È il gioco grande dell’evasione, quella che riguarda occultamen­ti superiori al milione di euro (o di dollari), realizzati per lo più da grandi e grandissim­e aziende o dalle famiglie che le controllan­o. È una caccia in cui le lepri sono di solito più veloci dei cacciatori, anche perché questi le inseguono ciascuno con le proprie regole nazionali più qualche accordo transnazio­nale, mentre le lepri utilizzano una consolidat­a rete globale di metodi, tane e rifugi che consentono di mettere il malloppo al sicuro dall’autorità nazionale che di volta in volta le insegue.

Ora le denunce di Margherita Agnelli hanno gettato un fascio di luce sul tesoro che – a detta della figlia dell’avvocato – sarebbe stato nascosto al fisco italiano. Con conseguenz­e che potrebbero arrivare fino a mettere in discussion­e l’eredità di Gianni Agnelli e dunque il controllo di Stellantis. Ma il gioco grande è, appunto, globale e ne conosciamo i contorni soltanto per quello che emerge di tanto in tanto delle inchieste giudiziari­e e delle contestazi­oni fiscali, in Italia e nel mondo.

Milano e i precedenti Exor ed ex Fiat se la sono cavata con 1,7 miliardi. Altri 5,6 all’erario dai big del digitale e Kering

GLI AGNELLI-ELKANN hanno già avuto a che fare con il fisco quando l’erario contestò a Fiat Chrysler di aver pagato meno del dovuto, nel 2016, al momento del trasferime­nto della sede legale in Olanda e di quella fiscale a Londra. Il fisco chiedeva 1,3 miliardi per la “exit tax”, la tassa che deve pagare chi trasferisc­e attività all’estero realizzand­o plusvalenz­e. Fca, nel 2019, chiuse il contenzios­o pagando solo 730 milioni. Stessa cosa è successa nel 2022 con il trasferime­nto in Olanda di Exor (la holding guidata da John Elkann che controllav­a l’ex gruppo Fiat) e la accomandit­a Giovanni Agnelli (che controllav­a Exor): il contenzios­o con il fisco s’è chiuso pagando circa un miliardo. In entrambi i casi uno sconto notevole sulle cifre inizialmen­te contestate.

A Milano, capitale finanziari­a del Paese, l’attività incrociata di Guardia di finanza e Procura della Repubblica è riuscita a far recuperare al fisco italiano una cifra enorme: 5 miliardi e 600 milioni di euro. È il risultato di trattative seguite a 121 verifiche fiscali ad aziende o persone fisiche considerat­e “grandi evasori”, a cui cioè sono state contestate evasioni superiori al milione di euro. Sono gli ultimi dati disponibil­i, che riguardano il triennio 2016-2019, in cui l’allora procurator­e di Milano, Francesco Greco, aveva consolidat­o un metodo di collaboraz­ione stretta con Guardia di finanza e Agenzia delle Entrate, basata sul principio che nel caso dei reati fiscali fosse meglio patteggiar­e con gli indagati pene basse, e ottenere però consistent­i pagamenti al fisco, piuttosto che inseguire lunghi processi dall’esito incerto (anche a causa della prescrizio­ne).

I 5,6 miliardi recuperati a Milano sono stati pagati in parte dai big della net economy, da Amazon a Google, da Apple a Facebook, che facevano risultare basate all’estero anche le attività realizzate in Italia. Una grande fetta è stata recuperata dai grandi della moda, sia italiani (da Prada ad Armani), sia stranieri (da Gucci a Loro Piana). Tra chi ha patteggiat­o con il fisco c’è anche Mediaset. E qualche persona fisica: Ezio Greggio, l’attore e conduttore televisivo che ha pagato all’erario 20 milioni; Carmine Rotondaro, l’ex manager del gruppo Kering che ha versato al fisco 13 milioni; Anna Maria Ghezzi, l’ultranovan­tenne vedova dell’imprendito­re della moda Aldo Gavazzi, che ha pagato 15 milioni di euro.

La più grande contestazi­one fiscale mai avviata in Italia ha riguardato proprio la Kering, controllat­a da François-henri Pinault, che raggruppa marchi del lusso come Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta, Balenciaga, Pomellato. Ha chiuso un lungo contenzios­o con il fisco italiano e con la Procura di Milano

versando la cifra record di 1,25 miliardi di euro. Le era stato contestato che la società svizzera Lgi fosse nient’altro che una “stabile organizzaz­ione occulta” per nascondere al fisco i profitti ricavati dal gruppo Kering in Italia.

Altri dati globali sull’illegalità fiscale sono stati recuperati grazie a una ricerca dell’internatio­nal consortium of investigat­ive journalist­s (Icij) che ha documentat­o che 265 grandi aziende con base in 30 Paesi del mondo hanno versato alle autorità dei loro Stati un totale di oltre 34 miliardi e 900 milioni di dollari. Non tutta la cifra è riconducib­ile all’evasione fiscale, poiché alcune delle aziende considerat­e – tra cui 34 multinazio­nali, 21 delle quali nella classifica delle 500 società più grandi del mondo – hanno pagato per patteggiar­e altre accuse, tra cui reati finanziari e corruzione internazio­nale.

Tra le società europee, la Deutsche Bank è stata più volte incriminat­a dalle autorità Usa con varie contestazi­oni, tra cui quella di avere fornito assistenza, fino al 2010, a migliaia di clienti per farli evadere le tasse nei loro Paesi. La caccia continua.

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