Il Fatto Quotidiano

Europa: l’agro-populismo si fa partito In Italia c’è il collateral­ismo Coldiretti

Da noi manca una forza ruralista (sinora)

- » Michelange­lo Mecchia

Un partito fondato dalla lobby della caccia. In Francia succede anche questo: si chiama Alleanza Rurale ed è il movimento politico lanciato da Willy Schraen, storico presidente della Federazion­e Nazionale Francese dei Cacciatori. Non si tratta di un partito monotemati­co anche se la tutela della libertà di caccia – insidiata dall’animalismo militante, nel racconto di Schraen e soci – è una delle principali linee programmat­iche. Il movimento rivendica la centralità del settore agricolo e promette battaglia, in Europa, in difesa del comparto. Il lobbista punta alla costituzio­ne di un gruppo politico per gli Affari rurali in seno all’eurocamera.

Schraen si è ispirato ad un esperiment­o che ha avuto grande successo in Olanda, dove i contadini, in rotta con le politiche ambientali­ste del governo, hanno fondato un partito (BBB) e vinto le elezioni provincial­i. In Polonia Michał Kołodziejc­zak, il leader di Agrounia, partito ruralista con forti venature di socialismo, è entrato nel governo Tusk e ha strappato ai partner di coalizione la nomina a viceminist­ro dell’agricoltur­a. C’è già chi appone etichette e conia neologismi: alcuni autori olandesi lo hanno battezzato “agro-populismo”. Ancora non si intravede, in Europa, un trend generale, ma questi eventi politici sono connessi alle proteste che stanno scuotendo il continente e aiutano a comprender­ne le ragioni profonde. Il primo settore avverte un deficit di rappresent­anza politica e dove può si organizza, mobilitand­osi per proteggere i propri interessi, toccati dalle politiche improntate alla transizion­e ecologica avviata da Bruxelles.

Storicamen­te, a partire dalla Rivoluzion­e Industrial­e, fioccarono in tutta Europa (o quasi) partiti ruralisti, che si fecero carico dei problemi e delle istanze dei contadini, schierando­si a protezione di un segmento dell’economia minacciato dall’urbanizzaz­ione del sistema produttivo. Se hanno raggiunto un certo grado di rilevanza nel proprio sistema politico è dipeso anche da ragioni di ordine economico. Dove la proprietà contadina era frazionata in realtà di piccole e medie dimensioni il settore ha avvertito l’esigenza di darsi un’organizzaz­ione politica, per contare di più. In Italia, specie nel Sud del Paese, i grandi proprietar­i terrieri vennero rapidament­e cooptati nel sistema di potere risorgimen­tale. Il vuoto lasciato è stato riempito da associazio­ni di categoria e sigle sindacali. In tempi più recenti Coldiretti si è imposto come interlocut­ore privilegia­to del potere politico, anche grazie ad un rapporto incestuoso – segnato da clientelis­mo e commistion­i politico-elettorali – con la Dc.

Oggi Coldiretti sta con chi governa e ci si imbatte in tracce di finanziame­nti sia a destra che a sinistra. Ma il legame tra l’associazio­ne di categoria – suggellato dalla nomina di Lollobrigi­da – e l’esecutivo non è mai stato così stretto. Eppure mentre i dirigenti della Coldiretti entrano ed escono dai palazzi del potere e stringono mani ai piani alti, le proteste dei contadini infuriano in tutto il Paese e i manifestan­ti lanciano proclami di fuoco contro il governo e “il suo sindacato”. I sommovimen­ti segnalano il declino dell’ascendente esercitato da Coldiretti sulla categoria e della sua capacità rappresent­ativa. Si è aperto uno spiraglio; la radiografi­a del movimento di protesta immortala una galassia eterogenea, frammentat­a in sigle. E se alcune si componesse­ro attorno a un soggetto politico, per dare corpo alla protesta? Altri casi in Europa ce ne sono, basta guardarsi attorno. E basta prendere esempio.

Movimenti In Olanda, Francia e Polonia gli agricoltor­i si mettono in proprio

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