Berlinguer, Meloni e il (fu) rispetto
GIORGIA MELONI SUL LIBRO DELLE DEDICHE DOPO AVER VISITATO LA MOSTRA CHE RICORDA ENRICO BERLINGUER A 40 ANNI DALLA MORTE
di una storia, politica. E la politica è l’unica possibile soluzione ai problemi”.
FORSE, TROPPO OCCUPATA a denunciare i possibili germi patogeni di fascismo nella destra di governo, la sinistra “antifascista” non sembra aver dato troppo peso all’omaggio reso dalla presidente del Consiglio (di convinta formazione missina) a colui che fu il leader del più forte Partito comunista dell’occidente. Forse, troppo impegnata a individuare tracce di “comunismo” nell’opposizione del centrosinistra, la destra giornalistica e televisiva ha fatto finta di non vedere il pubblico riconoscimento da parte della premier (di cui si raccolgono le virgole, e perfino i sospiri) alla statura politica e umana di un avversario rispettato. Forse, per entrambi i fronti contrapposti, si trattava di non turbare (oltre alla visione del Festival di Sanremo) i codici di una narrazione a senso unico, quella che funziona sul fiorente mercato delle fazioni, gonfiate con gli estrogeni social. Una politica con la bava alla bocca che ha messo in soffitta la parola chiave “rispetto”, quella che perfino nella famigerata Prima Repubblica degli Anni di piombo possedeva ancora un senso e una sacralità. Tanto che nel giugno 1984, nel triste giorno dei funerali di Berlinguer, a fendere la gigantesca folla che circondava la sede del Pci, alle Botteghe Oscure, si presentò Giorgio Almirante. All’uscita dalla camera ardente dove si era inchinato davanti alla bara del segretario comunista – morto sul campo a Padova mentre parlava al suo popolo a pochi giorni dalle elezioni Europee – il leader del Msi disse: “Sono venuto a rendere omaggio a un uomo da cui mi ha diviso tutto ma che ho sempre apprezzato e stimato”. Quattro anni dopo, ai funerali del gerarca missino Pino Romualdi, una delegazione del Pci guidata da Giancarlo Pajetta restituì la cortesia. Eppure, quei due fronti che al cospetto della morte sapevano chinare il capo si erano affrontati e sparati senza pietà durante la guerra di Liberazione. Che, fortunatamente per tutti, aveva visto prevalere i valori della Resistenza e della democrazia repubblicana sul disumano sonno della ragione nazifascista.
In un’arena politica sempre più dominata da forme ed espressioni di livoroso pregiudizio, da una parte e dell’altra, vogliamo pensare che Giorgia Meloni (accompagnata nella vista dal comunista, senza virgolette, Ugo Sposetti) abbia voluto dare un segnale (anche al suo mondo) ricordando che “è la politica l’unica soluzione ai problemi”. La politica, e dunque il confronto democratico anche aspro, non certo l’aggressione e la diffamazione dell’avversario trasformato in mortale nemico. Non raccogliere quel gesto sarebbe un’occasione persa per tutti (ma forse chi scrive questa nota è davvero fuori dal tempo, e se ne scusa).
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