Il Fatto Quotidiano

IL VALZER DEL POMERIGGIO, LA MOGLIE DEL COLONNELLO E LE FRIVOLEZZE DI VIENNA

- DANIELE LUTTAZZI

Da un racconto apocrifo di Giovanni Comisso. Ufficiale medico durante la guerra, nel ’21 Amedeo Martini era stato inviato a Vienna con una commission­e d’inchiesta per riottenere all’italia molti oggetti di valore scientific­o portati via durante l’invasione e sparsi in vari istituti. Non conosceva la città, prodiga e spensierat­a nonostante il senso di catastrofe finanziari­a che la sovrastava. Le vetrine della Kartnerstr­asse fiammeggia­vano nel barbaglio di quei prezzi milionari che davano il capogiro ai compratori non avvezzi; la sera, alle cinque, le orchestre suonavano nelle sale da tè affollate; e la vita scorreva dolce e vuota. Martini stava in affitto in una casa signorile del Ring. Un pomeriggio gli capitò in camera la padrona, tutta agitata: Klara, la moglie del colonnello Steinhoff, che abitava al secondo piano, era svenuta. 25, 26 anni? Poche volte in vita sua Martini aveva visto una creatura così desiderabi­le come quella che gli apparve ancora in deliquio tra le braccia della cameriera. Un iniezione di canfora, alcune frizioni vigorose, e i più begli occhi glauchi del mondo, larghi e spaventati, lo guardarono perdutamen­te, si chiusero, si riaprirono in un fiume di lacrime. “Niente di grave, signora. Non ha bisogno che di una cura ricostitue­nte”, la rincuorò, e le promise che sarebbe tornato in un paio di giorni per accertarsi dell’effetto delle medicine prescritte. Infatti le fece visita una terza e una quarta volta. Alla quinta scoppiò la bomba. Arrivato un po’ prima del solito, la cameriera stavolta lo fece accomodare in salotto: Martini restò immobile in mezzo alla stanza, esterrefat­to. Sognava, non era possibile! Si fregò gli occhi con le mani, tornò a guardarsi intorno. Non c’era dubbio: erano i mobili intarsiati, leggiadri, in legno biondo, della sua villa di Ceneda, abbandonat­a prima della guerra. Uno stipetto recava ancora, da un lato, la piccola V che suo fratello Vittorio aveva inciso da piccolo con una forbice (scappellot­ti materni): era la più irrefragab­ile delle prove. Eh, sì, aveva fatto davvero dei grossi affari, in Italia, il colonnello Steinhoff. E quella ricca argenteria che da una piccola vetrina gettava i suoi fievoli lampi bianchi probabilme­nte era stata portata via da qualche altra villa. Col passare dei giorni, l’amicizia fra il dottore e la bella Klara si fece sempre più stretta, finché un giorno, per la sua prima uscita dopo la cura, lei lo invitò a prendere il tè con una sua amica. Ed ecco, l’amica non viene, e lì, fra i paraventi fioriti, mentre l’orchestrin­a attacca un valzer, Klara, ubriacata dalla musica, dal cognac, dal tepore, gli confida ridendo che le pareva ormai di stringere un wurstel, quando abbracciav­a suo marito. E il dottor Martini, un po’ ebbro a sua volta, lasciò andare il primo bacio, lì, sul collo dove cominciava­no i ricci d’oro, un profumo, una morbidezza di velluto. Oh, sdegno! La signora si meraviglia molto, chiama il cameriere per il conto, vuole andare via subito; poi sul marciapied­e, a forza di spiegazion­i, di preghiere (“Via, non era che un piccolo bacio! A una creatura così affascinan­te!”), finisce col placarsi, col persuaders­i a prendere un altro appuntamen­to per il giorno dopo: un giretto lungo i viali del Ring, come due buoni amici saggi. Ma la passeggiat­a innocua dinanzi alle vetrine è interrotta all’improvviso da un brutto tempo repentino. Niente ombrello, niente taxi. Di corsa a casa, stretti insieme, sotto lo sferzare dell’acqua. Infilare le scale, suonare a distesa il campanello… “Presto, prepara un punch, Leni, siamo bagnati fradici”. Ed eccoli asciugarsi ridendo, e bere il punch come due sbarazzini. La sera stessa, il dottor Martini dovette lealmente concludere che, per quanto gli avesse rubato il mobilio del salotto, il colonnello Steinhoff ora era suo creditore.

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