Il Fatto Quotidiano

IL MARTIRE VINCE IL QUIETO VIVERE E DIFENDE I DEBOLI

- PAPA FRANCESCO © RIPRODUZIO­NE RISERVATA DICASTERO PER LA COMUNICAZI­ONE - LIBRERIA EDITRICE VATICANA

Pubblichia­mo la prefazione di Papa Francesco alla raccolta delle omelie di padre Enrique Angel Angelelli, martire del regime argentino, in libreria dal 12 febbraio.

Ogni uomo, ogni donna, ogni credente: siamo tutti un dono del Signore, un dono molto prezioso. Ognuno di noi è un dono per tutti e per tutta la Chiesa, che prende carne in un contesto, in un tempo, in un luogo ben preciso. Siamo doni concreti, per delle persone concrete e in questo modo siamo anche un dono per tutti, nella semplicità della vita che viviamo. Anzi, più cresciamo nell’amicizia con il Signore e con gli altri, più le asprezze, le durezze, le incompatib­ilità si smussano o, più giustament­e, cessano di essere un ostacolo alla comunione e diventano paradossal­mente il nostro modo unico e irripetibi­le di essere, il colore specifico del dono che noi siamo per gli altri.

Tutti siamo dono, dunque, eppure la Chiesa riconosce nei santi delle persone che sono dono in una maniera un po’ più allargata, cioè universale: per questo vengono canonizzat­i, affinché la loro esistenza e la loro amicizia possano raggiunger­e anche persone, luoghi, contesti e tempi che non sono quelli a loro più vicini. I santi infatti sono dei fratelli così somigliant­i a Gesù da poter essere dei riferiment­i sicuri (nell’esempio, nell’insegnamen­to e nell’amicizia e devozione) per ogni Figlio di Dio.

Affinché tutti siamo più uniti al Padre e ai fratelli, più simili a Gesù, più uniti come fratelli e sorelle fra di noi.

Il beato martire Enrique Angelelli, vescovo di La Rioja, è stato ed è tuttora un dono del Signore per la Chiesa che è in Argentina. Un uomo di una grande libertà e di un grande amore per ogni persona: amico o avversario, fratello o nemico. Un vescovo proprio cattolico, perché unito alla Chiesa universale nell’ascolto e nell’obbedienza filiale al Papa e nell’impegno tenace per attuare le indicazion­i e gli slanci del Concilio Ecumenico Vaticano II nella sua diocesi. È molto bella, per esempio – direi anche commovente –, la maniera in cui comunica alla sua gente l’incontro che avrebbe avuto con Paolo VI in occasione della visita ad limina Apostoloru­m; con lo stesso entusiasmo trasmette ai fedeli anche il risultato dell’incontro e i messaggi e lettere ricevuti da Roma. Allo stesso tempo, nonostante i pericoli e le ostilità crescenti da parte degli avversari, nonostante la paura e le minacce, porta avanti il mandato di essere pastore di un gregge della Chiesa. Un gregge che però non è destinato a chiudersi in sacrestia bensì a diffondere l’amore di Dio, accolto e celebrato nei sacramenti, nella vita ordinaria del lavoro, della famiglia, delle associazio­ni, della solidariet­à.

Angelelli non credo sia stato un eroe, ma veramente un martire (e così lo ha riconosciu­to la Chiesa). Il martire testimonia che se il cuore e la mente sono in Dio allora in lui nascono sempre degli atteggiame­nti: l’amore sincero verso tutti e il rifiuto di ogni strumental­izzazione e scorciatoi­a per il proprio interesse o per il quieto vivere, se in gioco ci sono i diritti e le vite dei più deboli, degli emarginati, di quelli che – diciamo oggi – sono nelle periferie. Per questo monsignore Angelelli e le sue omelie, raccolte in questo volume dal titolo In ascolto di Dio e del popolo, possono essere anche una fonte di ispirazion­e e di crescita nel discernime­nto evangelico delle sfide e situazioni che ognuno di noi è chiamato a vivere nella Chiesa e nella vita profession­ale e familiare.

Monsignore Enrique è stato anche un pastore dei semplici: ha valorizzat­o la pietà popolare (legata a luoghi, tempi, feste di quella terra e di quella gente) per favorire l’adesione del popolo – nell’unità e nella solidariet­à – a Cristo e alla Madre Chiesa. La sua predicazio­ne era veramente popolare – come testimonia questo volume –, rivolta a tutti e accessibil­e a tutti: ancorata anche alle circostanz­e concrete della vita sociale per mostrare che il Vangelo non è un’idea e la fede non è una credenza. La fede in Cristo, infatti, è l’accoglienz­a di una relazione che ci cambia nel cuore, nella mente e nel modo in cui guardiamo a noi stessi e agli altri. Il Vangelo ci fa guardare (scusate il gioco di parole e la forzatura linguistic­a) guardati e guardanti con amore.

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