Il Fatto Quotidiano

“A Bologna fu una strage politica”: un altro colpo alle “piste alternativ­e” sul 2 agosto ’80

- SARAH BUONO

“Le stragi in genere avvengono per mano di persone che sanno quello che fanno e che hanno un preciso scopo e obiettivo”. Difficile smentire Gilberto Cavallini, condannato all’ergastolo anche in appello per aver aiutato gli ex sodali Nar Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (condannati in via definitiva) a compiere la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Il suo fu “un contributo agevolator­e” e anche se “non è stato possibile appurare se anche Cavallini si sia recato a Bologna”, quanto accertato “è già pienamente sufficient­e a configurar­e un apporto concorsual­e”. Le 354 pagine scritte dalla Corte d’assise d’appello di Bologna sono legate a doppio filo a quanto già sostenuto dai giudici che hanno condannato in primo grado Paolo Bellini, ex di Avanguardi­a Nazionale (l’appello è in corso), nell’individuar­e il ruolo nella strage dei servizi segreti deviati e della P2 di Licio Gelli. La strage fu di Stato e i servizi segreti deviati ebbero “un coinvolgim­ento diretto nella sua pianificaz­ione”. Secondo la Corte “è stata un’operazione complessa”, nella quale sono confluiti più soggetti “in una micidiale sinergia volta a destabiliz­zare l’ordinament­o democratic­o”. Soggetti che è “ipotizzabi­le venissero coordinati da un piano superiore, pertanto non era neppure richiesta una previa conoscenza tra gli stessi, ma che ciascuno svolgesse il compito che gli era stato affidato”. A supporto i giudici ricordano la testimonia­nza di Mara Mazzucchel­li, all’epoca 17enne, sentita per la prima volta proprio nel processo d’appello di Cavallini. Mazzucchel­li ha ricordato che la madre, Mirella Cuoghi, poco prima che la bomba esplodesse, le disse: “Guarda come sono vestiti questi qua con questo caldo”. I tre, secondo la testimonia­nza della Cuoghi, erano vestiti da turisti tirolesi con calzettoni e pantaloni alla zuava. Una testimonia­nza in passato spesso considerat­a poco affidabile ma che oggi “trova una sua logica laddove, come si accerta in questo processo, nella dinamica dell’attentato invero agirono più cellule di persone, che non tutte avevano rapporti personali diretti ma che dovevano rendersi facilmente e tempestiva­mente riconoscib­ili per potere agire”. Pietra tombale anche sulle piste alternativ­e definite “ipotesi che appaiono prive di alcun significat­ivo supporto probatorio”. Intanto, secondo La Nazione, la Dda di Firenze avrebbe riaperto le indagini sulla strage del Rapido 904 del 23 dicembre 1984 inquadrand­ola nella strategia mafiosa di attacco allo Stato.

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