“Basta molestie e abusi di potere” È nato il #metoo dell’università
Èun piccolo terremoto quello che sta travolgendo l’università di Torino, dove il 9 febbraio un professore di Filosofia, Federico Vercellone, è stato sospeso per un mese dall’incarico per un caso di presunte molestie denunciate da alcune studentesse (si parla di “sguardi lascivi” agli esami e contenuti sconvenienti in chat private). Il docente si difende senza se e senza ma: “Tutelerò la mia buona reputazione in ogni sede contro questa assurda caccia alle streghe”.
La sospensione arriva tre giorni dopo che un corteo studentesco aveva affisso ai muri dell’ateneo denunce di molestie e violenze di genere avvenute tra le mura dell’università, spiegando alla stampa e alla cittadinanza come “non vengano ascoltate le segnalazioni di molestie che ci sono state”: le denunce riguardavano tutti i dipartimenti, non solo Filosofia, ma il tempismo della sospensione non appare casuale. Sempre il 9 febbraio, un altro docente dell’unito, l’ex direttore della scuola di specializzazione di Medicina legale Giancarlo Di Vella, è finito ai domiciliari: da un’indagine per falso ne è nata una per molestie.
L’alba del #metoo universitario italiano è il frutto non solo di alcune denunce singole, ma anche del lavoro dello sportello antiviolenza dell’università di Torino, spazio in cui studentesse e dipendenti a vario titolo possono raccontare quanto accaduto con la sicurezza dell’anonimato, che ha raccolto finora le segnalazioni di 138 donne: 43 hanno chiesto un primo ascolto, 28 sono state effettivamente prese in carico dallo sportello, ha spiegato la responsabile Maria Paola Torrioni a La Stampa poche ore prima della sospensione del docente di Filosofia.
NON DOBBIAMO pensare a un ateneo poco attento al tema rispetto ad altri: Unito è stata la prima in Italia a dotarsi di uno sportello ad hoc, nato nel 2019. Un tipo di servizio richiesto da tempo da studenti e soprattutto studentesse, non solo perché molti degli atti che avvengono negli spazi universitari configurabili come molestia (inviti, sguardi, palpeggiamenti) non raggiungono un rilievo penale tale da meritare una denuncia alle forze dell’ordine – ma incidono sulla vita della comunità – ma anche perché, come noto, circa l’80% delle donne vittime di molestia non denuncia, in particolare in situazioni di precariato o squilibrio di potere: avere uno spazio sicuro in cui denunciare all’interno dell’ateneo, consente di far emergere il fenomeno con molta più facilità. Una valanga di segnalazioni che, ha spiegato Torrioni, al di là delle sanzioni disciplinari hanno contribuito a sollevare “un velo di omertà che non possiamo trascurare”.
Dal 2019 in poi sportelli simili sono nati molto rapidamente in decine di atenei italiani, da Milano a Roma, da Perugia a Bologna, mentre in molte altre sono ancora assenti. Ma il caso di Torino dimostra che sono uno strumento sì prezioso, ma che da solo non basta, o quantomeno non basta più a una nuova generazione di giovani che sembra aver preso voce in particolare dopo il femminicidio Cecchettin, lo scorso novembre: il 6 febbraio, in corteo, e poi ancora venerdì, dopo l’esplosione sui media del caso del dipartimento di Filosofia, l’auto organizzata assemblea studentesca “maipiuzitt3” ha dato una lettura molto critica dell’atteggiamento dell’ateneo. Al Fatto Beatrice Botta, una delle animatrici dell’assemblea, spiega il punto: “L’università, nel suo sistema, nega che il problema sia strutturale, continuando a parlare di una somma di casi specifici. Il personale del Comitato Unico di Garanzia, che dovrebbe occuparsi di questi temi, spesso non è formato adeguatamente. Lo sportello antiviolenza non ha un supporto, e neanche una pubblicità adeguata in modo che si sappia come usarlo”. Il rettore di Unitorino, Stefano Geuna, ha spiegato di ritenere la violenza di genere “una piaga di eccezionale gravità” e come sia “urgente assumere misure sempre più severe”.
Una visione fatta propria anche dalla ministra Anna Maria Bernini e da Giovanna Iannantuoni, presidente della Conferenza dei Rettori Italiani: “Su fatti del genere deve esserci tolleranza zero”. Ma è una lettura che non convince fino in fondo l’assemblea, che ha sollevato il caso: “Non vogliamo che i violenti siano disincentivati dall’agire a causa di norme più stringenti: vogliamo percorsi strutturali, posture di ascolto e di autocritica in primis delle istituzioni, una messa in discussione del potere e del privilegio” che rendono possibili questi episodi, hanno spiegato in un comunicato in risposta.
SEPPUR, come detto, è da novembre che questo percorso torinese si sta organizzando, la violenza di genere in Università non è certo una novità, in un Paese in cui secondo l’istat (dati 2018) il 44% delle donne italiane ha subito molestie e il 15% le ha subite negli ultimi tre anni. Più o meno dal 2019 in poi, e con maggior vigore dal 2021 in poi, diverse decine di casi sono arrivati alla cronaca giornalistica, da Catania, a Venezia,
Milano, Padova, Catanzaro, Bologna, Napoli... In alcuni di questi, che riguardavano violenza anche fisica, si è arrivati al processo e alla condanna in primo grado o al patteggiamento, in altri alla sanzione disciplinare e alla sospensione, come in quello più recente di Torino, e all’attivazione degli sportelli interni all’ateneo. Un problema che non riguarda certo solo le Università (solo poche ore fa un docente di un istituto superiore
Gli sportelli d’ascolto L’ateneo piemontese è stato il primo a istituirli: ma ci sono a Roma, Milano, Bologna, Perugia
a Milano è stato condannato in primo grado per violenza sessuale) ma che riguarda anche e troppo le università, come ha spiegato Camilla Pirredda dell’unione degli Universitari: “Lo denunciamo da anni: le università non sono spazi sicuri. Ognuna di noi ha una storia da raccontare. Storie che riguardano compagni di corso, personale d’ateneo, docenti. Gli abusi di potere sono all’ordine del giorno: ci troviamo costrette a scegliere tra la nostra carriera universitaria e il nostro diritto a denunciare. Ma chi ha il coraggio di denunciare in un contesto dove tutto rimane impunito?”. Una domanda cruciale cui una nuova generazione chiede risposte diverse, migliori, complete.