Il Fatto Quotidiano

.COSÌ MELONI SABOTA . LA “SORELLA” LE PEN.

BATTAGLIA PER L’EGEMONIA L’ingresso del deputato Bay del partito estremista “Reconquête!” nei Conservato­ri-riformisti può scalfire la svolta al centro. Ma l’obiettivo del patto con Zemmour è colpire la collega-rivale

- » MARCO TARCHI

L’annuncio dell’ingresso dell’unico eurodeputa­to di Reconquête!, Nicolas Bay, nel gruppo dei Conservato­ri e Riformisti del Parlamento di Bruxelles ha suscitato molte perplessit­à fra quanti seguono le evoluzioni del “campo largo” delle destre in Europa sotto una lente non polemica ma scientific­a.

Perché, ci si è chiesti, un gruppo che non nasconde l’ambizione di svolgere un ruolo decisivo nella tessitura delle alleanze che dopo il 9 giugno determiner­anno le nuove istanze direttrici dell’unione europea, e che per questo ha bisogno di rafforzare i rapporti con i centristi del Ppe, ha scelto di accogliere nelle proprie file un partito che fin dalla denominazi­one, ispirata alla Reconquist­a spagnola, non ha mai nascosto la perorazion­e di una soluzione radicale delle questioni legate all’immigrazio­ne e al multicultu­ralismo?

All’apparenza, la mossa ha di che lasciare stupiti, soprattutt­o se la si collega alla linea strategica che Giorgia Meloni – certamente ispiratric­e dell’operazione – ha impresso al suo partito in Italia e, fin qui, alla stessa Ecr, di cui dirige le istanze politiche centrali. Dopo tanti sforzi per accreditar­e un distacco dal movimentis­mo degli anni dell’opposizion­e e dalle radici missine, l’accordo con una formazione che in patria si è costruita in neanche due anni di vita una solida fama di estremismo proprio sui temi più scottanti del dibattito politico dà l’impression­e di una brusca virata, se non di un controsens­o. Tanto più se si considera che l’acquisto di un unico parlamenta­re non può certo modificare gli equilibri dell’assemblea di Strasburgo nel momento in cui si chiude la legislatur­a. E che, pur non avendo sin qui alcun componente in rappresent­anza della Francia, il gruppo risponde pienamente ai requisiti richiesti dall’istituzion­e per la concession­e di servizi e tempi di parola.

I rischi dell’operazione, del resto, non sono pochi né leggeri. In primo luogo perché Reconquête!, all’esordio in un’elezione europea, non è ancora certa di superare la soglia di sbarrament­o. È vero che i sondaggi la attestano attualment­e attorno a quel 7% che il suo fondatore Éric Zemmour riuscì a raggiunger­e alla presidenzi­ale dell’aprile 2022, ma lo slittament­o al 4,24% (e zero seggi) alle legislativ­e di due mesi dopo e la tentazione del “voto utile” per concorrent­i in ascesa sono fattori da non trascurare. Ma anche, e soprattutt­o, per altre ragioni.

Nel programma dei nuovi alleati di Meloni e soci figura infatti in voluta evidenza il tema spinoso della remigrazio­ne, ovvero del rinvio forzato ai luoghi di provenienz­a degli stranieri residenti giudicati indesidera­bili: la stessa proposta che ha causato nelle scorse settimane una levata di scudi contro l’alternativ­e für Deutschlan­d, trascinand­o nelle strade di varie città della

.Germania milioni di manifestan­ti di sinistra (ma anche alcuni esponenti democristi­ani e liberali) e inducendo persino Marine Le Pen a una rigida presa di distanze verso il partito di Alice Weidel, che pure è un suo prezioso alleato nel gruppo nazional-populista Identità e Democrazia. Durante la sua campagna presidenzi­ale, Zemmour propose di creare un ministero esclusivam­ente addetto a questo compito, con l’obiettivo di deportare non meno di un milione di immigrati non assimilati ai valori e ai modi di vita della società francese. E quando Marion Maréchal, capolista di Reconquête! alle imminenti elezioni e già da mesi attivament­e impegnata nella campagna, si è vista chiedere che cosa pensasse delle vicende tedesche, la sua risposta non ha lasciato adito ad equivoci: sì, la remigrazio­ne figura ancora nel programma del partito. Che non ha esitato a far suo, a più ripresa, il tema della “grande sostituzio­ne etnica” in atto nel vecchio continente, la cui ripresa ha fruttato al ministro Lollobrigi­da non pochi grattacapi. Certamente su questo versante Meloni e i suoi sodali europei subiranno duri attacchi nei prossimi mesi. Perché dunque azzardare un così pericoloso sodalizio? Una risposta a questa domanda non può che rimanere, per il momento, sul terreno delle semplici congetture. Che tuttavia possono aprire piste interessan­ti. La prima di esse sottolinea le affinità ideologich­e esistenti fra Reconquête! e i suoi nuovi alleati, Fratelli d’italia e Vox in testa. Il richiamo a un forte conservato­rismo sui temi etici, la rivendicaz­ione delle radici cristiane dell’europa (incarnata in primis da Marion Maréchal, ma sostenuta anche da Zemmour, malgrado la sua fede ebraica), la denuncia dell’immigrazio­ne come una minaccia culturale, l’attaccamen­to allo Stato nazionale e la promozione di un’agenda di rigoroso liberalism­o sul terreno economico, la richiesta di norme più dure per la repression­e della criminalit­à e la riduzione dell’insicurezz­a, la volontà di ridurre le interferen­ze dei giudici sull’azione dei governi sono senza dubbio istanze comuni. Che non annullano però la differenza dei toni e dei comportame­nti rispettivi con cui le proposte in questione sono sostenute: con circospezi­one da un lato, con un voluto ed esibito estremismo dall’altro.

Più utile è forse guardare a un altro elemento di convergenz­a che può aver spinto all’accordo fra le parti: un dato, molto più che ideologico, strategico. Zemmour è infatti, per convinzion­e e per provenienz­a – da ammiratore incondizio­nato di Charles de Gaulle e fiancheggi­atore dei suoi eredi politici fino all’epoca Sarkozy – un accanito sostenitor­e dell’unione delle destre, includendo in questa categoria i moderati Républicai­ns. Prospettiv­a da sempre rifiutata da Marine Le Pen, che considera inaccettab­ile ogni compromess­o con l’establishm­ent di cui i postgollis­ti sono parte integrante e che invece collima alla perfezione con lo schema adottato da FDI e Vox. In Reconquête! Meloni e Abascal trovano quindi un ulteriore supporto alla scelta intrapresa.

Partendo da questo dato, si può avanzare un’altra ipotesi, verosimilm­ente la più fondata.

Imbarcando Zemmour, Meloni – che già in passato aveva espresso simpatie nei suoi confronti, e che ora può far conto sul rapporto “parentale” con Maréchal, sposata con l’eurodeputa­to FDI ed ex leghista Vincenzo Sofo, cruciale nella tessitura dei rapporti – cerca di portare un colpo diretto a Le Pen proprio nel momento in cui quest’ultima è sulla cresta dell’onda, dopo la pubblicazi­one di un sondaggio Ifop che non solo le accredita il 36% al primo turno delle prossime presidenzi­ali, ma la vede vincente al ballottagg­io contro l’attuale primo ministro Gabriel Attal e alla pari con l’ex capo di governo Édouard Philippe. E non si tratta di una questione personale, anche se la presidente del Consiglio ha sempre sofferto di un complesso di inferiorit­à nei confronti della collega transalpin­a, ma di qualcosa di ben più importante. Di non perdere la leadership di immagine e di sostanza dell’accennato “campo largo” e di vincere il braccio di ferro fra conservato­ri e populisti, cioè fra potenziali alleati e avversari di Von der Leyen, che farà da sfondo alla disfida elettorale del 6/9 giugno.

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FOTO LAPRESSE Sfida interna Giorgia Meloni; a destra, Marine Le Pen

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