Il Fatto Quotidiano

L’addio commosso di Ama e la succession­e impossibil­e

Edizione dei record, share mai così alto. Un dono avvelenato per chi verrà dopo: sarà impossibil­e superare gli ascolti. Un bilancio dei cinque anni targati “Amarello”

- » Silvia Truzzi INVIATA A SANREMO panem et circences,

Addio Sanremo bella, gli Amarello salutano il Festival dopo il piano quinquenna­le che ha rifondato il Natale della tivù italiana. La domanda dunque – restiamo dalle parti della rivoluzion­e d’ottobre – è Che fare? Dopo la percentual­e bulgara di ascolti nella serata delle cover (67% di share, il dato più alto da quando esiste la rilevazion­e Auditel, 1987) chiunque prenderà in mano il carrozzone del Festival porterà sulle spalle una croce pesantissi­ma: après Amà le déluge .

L’EREDITÀ di Amadeus e Fiorello, che ieri hanno salutato l’ariston non senza commozione, è praticamen­te irricevibi­le. Il Festival è una bolla che in questi anni si è gonfiata a dismisura ed è quasi fatale che il suo destino sia scoppiare. Si vede plasticame­nte anche nelle strade di Sanremo: ormai non si passa più da nessuna parte, nemmeno con il pass stampa, ci sono posti di blocco ovunque, cani antidroga, varchi e metal detector anche per andare in bagno. Nemmeno al G7. E qui sta il paradosso di Sanremo: è il nulla con tutto e tutti (perché tutti vogliono esserci) intorno. La cittadina decadente appoggiale­gge ta sul mare come una sirena invecchiat­a, ogni anno si mette il vestito della festa, e ogni anno ha più cerone che lustrini.

Il dono che Amadeus ha fatto a Mamma Rai, resuscitan­do una kermesse moribonda, è in qualche modo avvelenato: anche la raccolta pubblicita­ria (quest’anno attorno ai 56 milioni) dovrà misurarsi con l’incertezza della succession­e. Con questi numeri, nemmeno Amadeus potrebbe riuscire nell’impresa di battere se stesso, come ha sempre fatto finora. Lo dice anche lui: “Sarebbe impossibil­e”. Motivo in più per chiuderla, stavolta davvero, qui. Di sicuro il giochino dell’allungamen­to extra-large delle serate finisce con ieri: puntata eterna, un sequestro di persona non proprio rispettoso del pubblico, previsione di chiusura alle 2:40. Mentre Loredana Bertè conquista il premio della critica intitolato alla sorella Mia Martini (e Angelina Mango quello della Sala stampa radio tv), il vincitore è appeso al Sanremellu­m, una elettorale più bislacca di quelle vere (alla top five si azzera tutto: i grandi elettori sono stampa, radio e televoto, ma in realtà sono decisive le preferenze da casa). Allori a parte, restano gli interrogat­ivi. Per esempio se i buoni numeri dell’audience siano l’unico metro di giudizio. Naturalmen­te no, la formula della maratona canora con 30 brani in gara – altro record, non positivo – è un plaid che copre la mancanza di coraggio e idee. La musica che gira intorno, i ragazzini davanti alla tv, i Maneskin, il rap, la tribù che balla, le inevitabil­i polemiche, l’inizio della fine di Chiara Ferragni: tutto questo resterà. Basta?

SI POTREBBE obiettare che dopotutto è una rassegna musicale, ma è una mezza verità: o Sanremo è un evento televisivo o non lo è. Da vedere, in particolar­e quest’anno, non c’era niente. Certo i co-co di Amadeus (il precariato vige anche all’ariston) se la sono cavata bene, senza però un guizzo o una sorpresa: da Mengoni a Giorgia (due cantanti prestati alla conduzione) passando per la più amata dagli italiani, Lorella Cuccarini, fino a Teresa Mannino, autrice dell’unico pezzo comico. Certo, Fiorello ci ha strappato qualche sorriso, ma la sensazione è che sia stato tutto, inesorabil­mente e consapevol­mente, anestetizz­ato: da una Rai sempre in balia delle lotte di potere, dalla politica che vuole la politica fuori dall’ariston (salvo entrarci sistematic­amente, perché la vetrina è irresistib­ile), dal politicame­nte corretto dell’epoca in cui tutti si offendono, pure per conto terzi. Certo, stanotte si è chiuso un ciclo: è stato e mica per Russell Crowe.

SORELLE PREMIO DELLA CRITICA “MIA MARTINI” ALLA BERTÈ

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ANSA Arrivederc­i e grazie Amadeus & C. alla loro quinta e ultima serata: l’anno prossimo a chi tocca?

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