Il Fatto Quotidiano

Meloni s’è incartata: il primo sì al premierato si allontana

- » Wanda Marra

Non è bastata la rissa in commission­e Affari costituzio­nali del Senato mercoledì sera, mentre si iniziava a discutere di premierato, con tanto di Gran giurì in arrivo su richiesta del presidente Alberto Balboni contro Francesco Boccia, per sconsiglia­re l'uso delle tenebre. Domani e dopodomani alle ore 20 si prevedono altre due sedute notturne sul tema. Una forzatura, secondo le opposizion­i. Una road map doverosa, secondo la maggioranz­a. Ma per capire a che punto sono le riforme bisogna partire proprio dai tempi. Che improvvisa­mente sono diventati strettissi­mi rispetto a quello che sembrava un obiettivo prioritari­o di Giorgia Meloni, ovvero approvare in prima lettura le riforme entro le Europee. Pd e Avs hanno scelto la strategia dell’ostruzioni­smo, presentand­o circa 1600 emendament­i (rispetto ai 12 dei Cinque Stelle). Molti verranno dichiarati inammissib­ili. Per dirla con Balboni: “Non c’è mai stato un obbiettivo del genere, c’era quello di fare un confronto serio e nel merito impiegando tutto il tempo necessario. Questo obbiettivo è saltato causa ostruzioni­smo di PD e Avs”. E prefigura due possibili soluzioni: “O si sta in commission­e a discutere di emendament­i privi di un vero significat­o per 6 mesi o a un certo punto si andrà in aula senza relatore. Ma questa decisione se e quando verrà presa, dipende dalla conferenza dei capigruppo”. Ergo, la Lega deve essere d’accordo. Ma il capogruppo,

Attese modifiche C’’è un baco nelle norme su fiducia e scioglimen­to delle Camere che espone il capo del governo ai ricatti della maggioranz­a. La Lega lo sfrutta

primo comma dell’emendament­o. Poi: “In caso di dimissioni volontarie del presidente del Consiglio eletto, previa informativ­a parlamenta­re, questi può proporre, entro sette giorni, lo scioglimen­to delle Camere al presidente della Repubblica, che lo dispone”. Di fatto, il premier eletto ha il potere di scioglimen­to delle Camere. Ancora: “Qualora non edente tale facoltà e nei casi di morte, impediment­o permanente, decadenza, il presidente della Repubblica può conferire, per una sola volta nel corso della legislatur­a, l’incarico di formare il governo al presidente del Consiglio dimissiona­rio o a un altro parlamenta­re eletto in collegamen­to con il presidente del Consiglio”. Dunque, se il premier eletto non vuole riportare il Paese alle urne può o tentare la strada del reincarico o passare la mano ad un altro esponente della maggioranz­a. Eppure, nella legge non è normato il caso in cui il governo viene battuto su un voto di fiducia posto su un provvedime­nto. Secondo l’interpreta­zione di Fratelli d’italia e dei costituzio­nalisti vicini a Meloni, a partire da Francesco Saverio Marini, consiglier­e giuridico della premier, il caso di mancata fiducia su un provvedime­nto rientra nel caso di “dimissioni volontarie”. Marcello Pera (ex presidente del Senato, in commission­e Affari costituzio­nali per FDI) ha sollevato il problema: “Un governo battuto sulla fiducia non è in dimissioni volontarie”. Tesi sostenuta da molti costituzio­nalisti, a partire da Stefano Ceccanti. Dietro queste modifiche, non a caso, c'è la manina di Roberto Calderoli: così il premier diventa ostaggio della sua maggioranz­a.

MURO CONTRO MURO. SULLO SFONDO IL TERZO MANDATO

È stata la ministra delle Riforme, Maria Elisabetta Casellati, a dire la settimana scorsa che il testo verrà ulteriorme­nte modificato. Tanto per chiarire come sia sconfessat­o anche da padrini e madrine. Da Palazzo Chigi filtra che, in caso, si tratterà di “modifiche tecniche” o “drafting” per “meglio chiare il testo”. Ma non è facile. Perché il tema è politico, con la Lega pronta a non facilitare la vita a FDI. Sullo sfondo il terzo mandato per i Presidenti di Regione (quindi per Luca Zaia in Veneto) al quale il Carroccio non ha ancora rinunciato.

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Giorgia Meloni e i vicepremie­r Matteo Salvini e Antonio Tajani, leader di Lega e FI FOTO ANSA
L’ABBRACCIO TRA BERGOGLIO E JAVIER MILEI
Destre Giorgia Meloni e i vicepremie­r Matteo Salvini e Antonio Tajani, leader di Lega e FI FOTO ANSA L’ABBRACCIO TRA BERGOGLIO E JAVIER MILEI

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