Il Fatto Quotidiano

PESSIMI I NUOVI VINCOLI UE: IL PARLAMENTO DICA DI NO

- LUCIO BACCARO* * direttore del Max Planck Institute for the Study of Societies di Colonia

Il nuovo Patto di Stabilità e Crescita è completame­nte al di sotto delle aspettativ­e e delle sfide che si prospettan­o all’europa. Al di là dei dettagli tecnici (su cui ha scritto efficaceme­nte Marco Palombi sul Fatto), il suo problema principale è che lascia inalterata la vecchia impostazio­ne della politica fiscale europea che considera la stabilizza­zione del debito una funzione dei tagli al bilancio pubblico invece che della crescita. Per stabilizza­re il debito è necessario ritornare a crescere, e per questo è essenziale in Italia e in Europa rilanciare gli investimen­ti pubblici. Una delle proposte di riforma prevedeva l’introduzio­ne di una “regola aurea” che sottraesse gli investimen­ti pubblici dal calcolo del deficit: ha incontrato l’opposizion­e della Germania ed è stata cassata.

COSÌ COM’È, il nuovo Patto non serve a nessuno. Non all’italia, che dovrà ricomincia­re il vecchio circolo vizioso (solo temporanea­mente interrotto dagli anni del Covid) di aggiustame­nti fiscali, tendenze recessive, minacce di procedure per deficit eccessivo che portano a nuovi aggiustame­nti fiscali, ecc. Non serve all’europa, che vedrà aumentare le tensioni politiche, dato che l’austerità tende a rafforzare i partiti “populisti”. Non serve paradossal­mente neppure alla Germania. Le grandi aziende tedesche sanno di essere in ritardo sui dossier fondamenta­li su cui si gioca la competitiv­ità futura: la transizion­e verde, quella digitale e l’uscita dal gas russo, e chiedono che lo Stato investa per affrontare queste transizion­i. Inoltre la Germania necessita disperatam­ente di modernizza­re le sue infrastrut­ture, specie quelle ferroviari­e come mostrano gli indicatori di puntualità peggiori di quelli italiani.

Perché allora la Germania ha voluto rendere più austera la proposta della Commission­e, già di per sé criticabil­e? Questo caso dimostra quanto l’egemonia tedesca sui processi decisional­i europei sia diventata patologica e controprod­uttiva. Il Patto di Stabilità ha la forma attuale perché il ministro delle Finanze tedesco e il suo partito, la Fdp, in forte crisi di consensi (come tutta la coalizione governativ­a), si sono convinti che la maniera di recuperare gli elettori in fuga verso la Cdu e la AFD fosse tener duro sull’austerità domestica ed europea.

Nell’interesse dell’italia e dell’europa, sarebbe auspicabil­e che le forze politiche italiane di destra e di sinistra non ratificass­ero questo Patto, chiedendon­e la riformulaz­ione. Sono consapevol­e dell’improbabil­ità della proposta, ma è necessario farla. La destra è spesso accusata di essere “sovranista”. Questo aggettivo di significat­o ambiguo identifica una forza politica che antepone l’interesse nazionale a quello europeo. Io non vedo un governo “sovranista” in Italia. Vedo invece un governo che dopo aver promesso inversioni di rotta in campagna elettorale tiene a mostrarsi “responsabi­le” e “rispettabi­le” continuand­o le politiche economiche “da pilota automatico” precedenti. Se c’è un governo sovranista, è ora di mostrarlo. L’interesse nazionale e quello europeo coincidono.

Per la sinistra il discorso è diverso. Con molti altri autori, in primis Peter Mair e Wolfgang Streeck, sono convinto che una politica di sinistra economica non sia possibile senza rimettere in discussion­e i pilastri della governance economica europea, in particolar­e la delega delle materie fondamenta­li di politica economica a tecnocrazi­e indipenden­ti e a regole sovranazio­nali, che rende impensabil­i prima ancora che impraticab­ili le politiche di rilancio dell’intervento pubblico e di redistribu­zione. Cambiare la governance europea è un processo incrementa­le piuttosto che palingenet­ico. I molteplici poteri di veto rendono impossibil­e modificare i trattati Ue, vanno colte le occasioni quando si presentano. La riforma del Patto di Stabilità è una di queste rare opportunit­à e siamo vicinissim­i a sprecarla.

CREDO CHE IL M5S

non rappresent­i il problema principale a sinistra. Probabilme­nte si rende conto che un ritorno alle politiche di austerità danneggia soprattutt­o la sua constituen­cy principale: i ceti medio-bassi, specie del Sud. E i suoi elettori sono neutri rispetto all’europa. Più complessa è la situazione del Pd, che da tempo ha assunto il ruolo di vestale italiana della fedeltà europea. Come tale, ha la tendenza a scambiare per ambrosia ogni intruglio propinato dalla Ue. Elly Schlein sta facendo un tentativo sincero di riprofilar­e il partito a sinistra, avvicinand­olo ai ceti medi impoveriti dalla trentennal­e stagnazion­e. Spero comprenda che occorre una nuova direzione. La sua nobilitate si parrà sulla sua capacità di comprender­e la posta in gioco e di cambiare il discorso interno sull’europa.

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