Il Fatto Quotidiano

“I negoziati sono fermi Ma la tregua sarebbe la fine per Bibi e i suoi”

- FOTO LAPRESSE » Cosimo Caridi

“Siamo in un vicolo cieco in cui le parti cercano di decidere chi è più testardo”. L’israeliano Gershon Baskin è stato uno dei negoziator­i che ottenne il rilascio del soldato Gilad Shalit, che da cinque anni era nelle mani di Hamas. Dopo il 7 ottobre per settimane ha mantenuto una comunicazi­one con il movimento islamista. Siamo vicini a un accordo per il rilascio degli ostaggi? No, molto lontani. Netanyahu ha deciso di non rimandare la delegazion­e al Cairo. Israele pretende un futuro senza Hamas. Se questa è la precondizi­one, come Hamas può raggiunger­e un accordo con Israele? Hamas non deve accettare le dichiarazi­oni israeliane, sa di essere un movimento radicato nella popolazion­e, un’idea che non può essere eradicata con le armi.

La società israeliana come sta reagendo ai negoziati? È divisa. C’è una piccola maggioranz­a che accettereb­be di pagare un costo molto alto per riportare a casa gli ostaggi. E c’è una grande minoranza che pensa di non doversi arrendere ad Hamas. Questa parte vuole la guerra, la morte dei leader di Hamas. Anche se nessuno può garantire che questo porti al rilascio degli ostaggi. Penso sia una scommessa rischiosa. Come giudica l’operato di Netanyahu?

Penso sia personalme­nte responsabi­le del 7 ottobre. È l’unico nel quadro politico e della sicurezza nazionale che rifiuta di prendersi la responsabi­lità dei propri errori. Netanyahu è pericoloso per il futuro d’israele, lo era già in passato. Prima avremo nuove elezioni, meglio sarà per questo Paese. Il governo cadrebbe con una tregua? Non appena ci sarà un cessate il fuoco avremo enormi manifestaz­ioni per nominare una commission­e d’inchiesta nazionale. La spinta per le elezioni sarà fortissima. Netanyahu ha perso più del 50% della sua base elettorale. Non c’è possibilit­à che possa ancora governare Israele.

L’estrema destra sembra avere un grande potere in questo momento. Tengono in ostaggio Netanyahu. La sua sopravvive­nza politica dipende dai radicali della destra. Possono ottenere da lui tutto quello che vogliono.

La società israeliana è divisa, ma quella palestines­e è unita?

Assolutame­nte no. Quasi tutti i palestines­i vogliono nuove elezioni per scaricare il presidente Abbas. Ma la società è estremamen­te divisa, non c’è un leader che unisce, eccetto uno che è in prigione e sta scontando cinque ergastoli.

Parla di Marwan Barghouti? Israele dice che non lo libererà mai.

Mai è una parola da non usare in politica.

Due società spaccate e una guerra, l’incubo di un negoziator­e?

In un negoziato normale entri in una stanza dove c’è un mediatore e, per quanto sarà dura, alla fine si trova un accordo. Ci si stringe la mano e si lascia la stanza assieme. In questo caso le parti non si parlano, anzi hanno giurato di uccidersi.

Qatar, Egitto e Stati Uniti conducono i colloqui. Troppe voci?

Non è questione di tante o poche. Il problema è che questi tre Stati non stanno applicando abbastanza pressione per poter raggiunger­e un accordo. Si deve arrivare a un accordo per il quale Hamas non controlli più Gaza e ci sia un passo significat­ivo verso la soluzione dei due Stati. Anche l’italia, come molti altri Paesi europei, parla da 30 anni dei due Stati, ma ne riconosce solo uno. Se si vuole sconfigger­e Hamas bisogna dare qualcosa ai palestines­i. Questo passo può avvenire se Hamas resta al potere? Non importa se Hamas è al governo. Non si riconosce uno Stato per chi lo controlla, ma per il principio di autodeterm­inazione. I palestines­i devono votare un nuovo governo, ma la soluzione dei due Stati deve includere due entità e non solo Israele. Bisogna anche togliere a Israele il potere di veto sulla creazione di uno Stato palestines­e.

Questa pressione internazio­nale deve avvenire adesso?

Certo. Ci sono 1,5 milioni di persone bloccate nel 20% della Striscia. Un attacco sarà catastrofi­co.

IN FORSE il processo a Donald Trump per i suoi tentativi di ribaltare il voto in Georgia: una ex amica e collaborat­rice della procuratri­ce Fani Willis ha testimonia­to ieri che la sua relazione con il procurator­e speciale Nathan Wade cominciò nel 2019, ben prima che lei lo ingaggiass­e nell’inchiesta contro il tycoon. Smentita così la procuratri­ce, secondo cui l’affaire sarebbe iniziato durante la collaboraz­ione nelle indagini. Il giudice Mcafee dovrà decidere se escluderla dal processo

Palestines­i e israeliani sono spaccati anche al loro interno: servono elezioni e due Stati

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Macerie e sangue
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TRUMP, FORSE A RISCHIO UN PROCESSO
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