Il Fatto Quotidiano

Open Arms, Piantedosi aiuta Salvini: “La Ong mirava all’italia”

- SAUL CAIA

DIL MINISTRO: “NORMALI QUEI TEMPI PER SBARCARE”

a co-indagato (archiviato) a testimone chiave della difesa il passo è breve per il ministro Matteo Piantedosi, già capo di gabinetto di Matteo Salvini durante il Conte-1, che ha difeso con le unghie e con i denti il suo ex capo al Viminale durante l’udienza di ieri del processo Open Arms a Palermo, in cui Salvini è imputato per sequestro di persona e omissione di atti d’ufficio per il mancato sbarco, tra il 14 e il 20 agosto 2019, dei 107 migranti a bordo della nave spagnola.

Per Piantedosi “non era il ministero dell’interno ad assegnare il Pos, ovvero il “porto sicuro per lo sbarco”. Anzi, “il Pos può essere anche la barca”, e secondo il ministro ci fu un errore di trascrizio­ne nel segnalare “il distress di Open Arms”. Piantedosi spiega di non aver “mai riferito a Salvini di criticità tali da imporre uno sbarco complessiv­o”. E quando la procuratri­ce aggiunta Maria Sabella chiede perché non è stato permesso lo sbarco, il ministro risponde: “Prima si chiudeva il preaccordo sulla distribuzi­one con i Paesi, quando si riteneva che ci fosse l’esigenza si chiudeva e si procedeva allo sbarco. In caso di tempi lunghi sono rimasti in mare, anche due settimane”. In questo caso, “l’ong mirava all’italia”. Quando il Tar del Lazio bocciò il decreto che impediva alla nave di entrare in acque italiane, per Piantedosi non cambiò nulla: “Noi del gabinetto ritenevamo che la decisione non scalfisse il decreto. Il ministro dava indicazion­i e indirizzi politici, la struttura ha compito decisional­e, l’indirizzo era che il decreto non era stato superato dal ricorso al Tar”.

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