L’amore ai tempi del(la) Corea: poesia purissima
Celine Song
SL’opera prima della Song è un gioiello di trama (e lacrime)
e anche voi trovate detestabile la formula discotecara “ingresso libero con consumazione obbligatoria”, questo film fa per voi. Malgrado una valente colonna sonora, firmata dal batterista Christopher Bear e dal cantautore Daniel Rossen dei Grizzly Bear, non parliamo di musica bensì d’amore: qui non si consuma, e in duplice accezione. Presentato al Sundance 2023, quindi in concorso alla 73esima Berlinale, pluripremiato e candidato a due Oscar, film e sceneggiatura originale, è Past Lives, opera prima della drammaturga newyorchese Celine Song, prodotta da A24. È un periodo felice per il cinema d’autore in sala, e questo film sentimentale s’accoda senza sforzo: sostiene moti, aneliti, perseveranza e astinenza con una misura aurea, un’empatia preziosa, un non detto che rivela assai. Non vorremmo, ma dobbiamo stigmatizzare: un’opera così alle latitudini del cinemino italiano è semplicemente impossibile, nella sostanza e nella forma. Un nitore narrativo, una quiete drammaturgica, una elegia delle piccole cose commendevole, anche per come sa trasformare l’evenienza autobiografica in valenza universale: di cosa parliamo quando parliamo d’amore, e Carver avrebbe assai gradito.
Minimalista senza sciatteria, Song, classe 1988, sceneggia in solitaria il passo a due della tosta Nora Moon (Greta Lee, come non innamorarsene?), al principio Na Young, e del sensibile Hae Sung (Teo Yoo): amici per la pelle in Corea del Sud, vengono separati dall’emigrazione della famiglia di Nora, padre regista, madre artista e sorellina, in Canada. Dodici anni più tardi si ritrovano su Skype, immancabilmente si piacciono, e progettano di vedersi: lei insegue una carriera da drammaturga a New York, lui ha fatto il servizio militare e poi Ingegneria. Malgrado il desiderio, decidono – decide lei – di non sentirsi più. La vita non li aspetta: Nora sposa uno scrittore ebreo americano, Arthur (John Magaro), Hae si fidanza, per poco. Altri 12 anni, ovvero 24 dal distacco, e l’indugio ha fine: lui vola a New York per rincontrare lei.
Portatevi i fazzoletti, ma Past
Lives non sventola bandiera bianca: amore e reincarnazioni, scelte e destino, l’una di fronte all’altro, e noi con loro, Nora Moon e Hae Sung inseguiranno fantasmi, sentimenti e desii. Non c’è nulla di nuovo, è della schiatta di Prima dell’alba, la saga cult di Richard Linklater, e sodali, ma ha qualcosa di irrinunciabile per lo spettatore: la spietata dolcezza del sentire, l’astinenza gravida di possibilità, l’ironia che macera il tutto. E, debitamente condito di autodeterminazione femminile, solleva un interrogativo da far tremare i polsi, e figuriamoci le fedi nuziali: quali sacrifici, d’amore in primis, per realizzarsi? Il richiamo allo in-yuan, provvidenza o destino in coreano, lo spleen senza superfetazioni, l’arrendevolezza dolente e il libero arbitrio, tutto nella scrittura per immagini di Greta Lee rinvia a un’eccezione culturale, un triangolo considerato e considerevole da piccola antologia. La scia produttiva e antropologica di Minari, la temperatura emotiva di Drive My Car e un’originalità di tono, persino di cura che fa proseliti: è in sala, non perdetelo