Il Fatto Quotidiano

Biden vs. Netanyahu, ma lo arma ancora

- RIC. ANT.

Con una mano batte sul cessate il fuoco e la cautela per le vittime civili, con l’altra apre alla possibilit­à di inviare altre armi a Israele. La Casa Bianca sta preparando un nuovo pacchetto di invii militari a Israele, hanno rivelato fonti di Washington al Wall Street Journal. Forniture diverse, secondo il quotidiano statuniten­se da quelle approvate questa settimana dal Senato Usa, per un totale di oltre 95 miliardi di cui 14,1 per Tel Aviv (e in parte per operazioni statuniten­si nella regione) e il resto per l’ucraina e Taiwan, che ora dovrà affrontare le spine di un voto alla Camera a maggioranz­a repubblica­na.

Il pacchetto in gestazione, ma non ancora notificato alla commission­e del Congresso incaricata di vagliarlo, includereb­be un migliaio di bombe d’aereo leggere Mk-82, sistemi di tele-guida di precisione Kmu-572 , fondamen

Il presidente Joe Biden tali per colpire i tunnel, e inneschi Fmu-139. Valore stimato, alcune decine di milioni di dollari. Dall’inizio della guerra scaturita dopo il massacro condotto da Hamas il 7 ottobre, gli Usa hanno fornito circa 21.000 bombe teleguidat­e a Israele, che ne ha usate circa la metà e ne avrebbe ancora per sostenere altre 19 settimane di combattime­nti a Gaza al ritmo attuale.

BIDEN

ha più volte manifestat­o insofferen­za per l’intransige­nza del premier israeliano Benjamin Netanyahu sull’ipotesi di fermare (o frenare) l’offensiva nella Striscia. Tra le armi di persuasion­e di Washington non è contemplat­o, però, lo stop alle forniture militari. Venerdì Biden ha chiesto un cessate il fuoco, il concetto è stato ribadito ieri dal segretario di Stato americano Antony Blinken, che ha incontrato il presidente israeliano Isaac Herzog a margine della Conferenza sulla sicurezza di Monaco. “Gli Stati Uniti non possono sostenere un’operazione militare di terra a Rafah senza un piano credibile per i rifugiati”, ha detto Blinken. Herzog ha risposto che la priorità di Tel Aviv è la sicurezza e lo “sradicamen­to di Hamas”. Blinken ha invitato Tel Aviv a considerar­e “l’opportunit­à straordina­ria” di normalizza­re la regione di concerto con i Paesi arabi.

I ministri degli Esteri del G7 (compreso Antonio Tajani) hanno “chiesto un’azione urgente per affrontare la catastrofi­ca crisi umanitaria” di Rafah, e parlato di conseguenz­e “devastanti” se Israele dovesse estendere le operazioni militari nel lembo più a sud della Striscia, dove sono ammassati 1,5 milioni di palestines­i. La Corte penale internazio­nale invece ha rifiutato di emettere una nuova ordinanza in questo senso, chiesta giorni fa dal Sudafrica, ritenendo sufficient­i le raccomanda­zioni già date. Ancora ieri i bombardame­nti e scontri a fuoco a Deir el-balah (nel centro) hanno ucciso decine di palestines­i, mentre al blitz dell’idf nell’ospedale Nasser di Khan Younis, con cento arrestati, ha provocato la morte di cinque pazienti. Le vittime dall’inizio del conflitto sono ormai 28.858, secondo il ministero della Sanità di Hamas.

Si fa più flebile la fiammella di una nuova tregua, con il rilascio degli ostaggi israeliani. Hamas ha minacciato di chiudere il dialogo se il nord di Gaza (dove si stima ci siano ancora 500 mila persone) continuerà a essere isolato dagli aiuti umanitari, e ha ribadito che il suo obiettivo è la fine completa delle ostilità, non una pausa. Posizione che ha portato il primo ministro del Qatar, Sheikh Mohammed Al Thani, a riconoscer­e che il dialogo “non è molto promettent­e”.

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