Ridacchiare dei leghisti, solo se non si tratta della Bongiorno
Bongiorno e l’altra cofondatrice di Doppia difesa Michelle Hunziker avevano messo in piedi una grande campagna pubblicitaria con la loro immagine per sponsorizzare la fondazione, ottenendo una ricca rassegna stampa e ospitate tv. Peccato che però non esistesse una struttura efficiente per raccogliere le tante richieste di aiuto di donne in difficoltà o, addirittura, in pericolo. Lo ha scritto un giudice nel decreto di archiviazione dopo che la senatrice leghista e Hunziker avevano querelato il Fatto. I media svizzeri e tedeschi hanno rilanciato la notizia (se ne sono occupati, tra gli altri Rtl e Bild), in Italia curiosamente nessuna delle grandi testate nazionali ha dedicato neppure un colonnino alla vicenda. Il Pandoro e la beneficenza sì, Doppia difesa e la violenza sulle donne no.
Strano, perché quando si parla di leghisti che inciampano, da Salvini ai suoi compagni di partito più improbabili, fioriscono corsivi indignati. Abbiamo letto valanghe di editoriali sul leghista che confondeva Topolino con Dante, su Susanna Ceccardi e il suo timore che l’ucraina diventasse un viatico per chi scappa dall’africa, su quell’altro che vuole il daspo per i cantanti, sul senatore della Lega padre di Miss Italia, su Bignami e la sua foto di 19 anni fa travestito da gerarca nazista e pure su Salvini crocifisso per la visita al pastificio Rummo. Ai leghisti non sia abbona nulla. A tutti tranne che a Giulia Bongiorno.
I temerari giornalisti che fino a una settimana fa mi rimproveravano di prendermela solo con i deboli, sono eroici nel perculare il potentissimo Pillon quando si autocommenta i post, ma quando l’irrilevante Giulia Bongiorno viene beccata in fallo e su un tema come la violenza sulle donne, twittano fischiettando un innocuo BONGIORNO caffè.