“L’europa prepari i cittadini a uno scontro con la Russia”
Gli esperti del think tank britannico: “Il rischio di un allargamento del conflitto è reale se Kiev soccombe. Ma Washington e Bruxelles restano divise”
Nelle ultime settimane, diversi leader europei, militari e civili, hanno parlato del rischio di una imminente guerra con la Russia, che si estenda ben oltre i confini ucraini. La Svezia ha lanciato una chiamata alla leva di almeno 100 mila giovani: il capo del comitato militare della Nato, l’ammiraglio Rob Bauer dei Paesi Bassi, ha parlato della possibilità di una guerra con la Russia nei prossimi 20 anni, in cui “sarà coinvolta l’intera società, che ci piaccia o no”.
Per il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, i tempi sono ancora più stretti: tra cinque e otto anni, e il 16 gennaio Bild ha pubblicato dettagli di un piano delle forze armate in caso di conflitto fra la Russia e la Nato, nell’agosto 2025, 300 mila soldati dell’alleanza atlantica contro 200 mila russi. Lo stesso monito lanciato dal capo dell’esercito britannico, il generale Peter Sanders, che ha fatto appello alle autorità perché preparino i cittadini alla guerra e ventilato l’ipotesi, subito ridimensionata da Downing Street, di un esercito di riservisti, come quello a cui sta lavorando il ministro italiano della Difesa Guido Crosetto.
ABBIAMO CHIESTO agli esperti del prestigioso think tank britannico Chatham House se questi allarmi siano coordinati per preparare l’opinione pubblica e produrre una svolta militarista o se il rischio di un allargamento del conflitto ucraino sia reale. Per James Nixey, il direttore del programma Eurasia e grande esperto di Russia post-sovietica, sono vere entrambe le cose: i politici europei devono preparare la popolazione a uno scenario di scontro, perché solo l’aumento delle risorse per la difesa europea può agire da deterrente all’aggressività putiniana.
Tutti, indistintamente, sono convinti che l’ucraina sia l’ultima linea di difesa, che una sconfitta di Kiev sarebbe un rischio esistenziale per i Paesi europei, e che mentre le nazioni nordiche ne sono consapevoli, Washington e Bruxelles non hanno ancora realizzato la necessità di superare divisioni interne e dare il massimo supporto agli ucraini. Condannando quelle divisioni, l’esperto di forze armate russe Keir Giles ha aggiunto: “La situazione peggiora perché, al di là degli Stati europei in prima linea, i cui leader nazionali continuano a fingere con gli elettori che la situazione non sia disperata o che è un problema di qualcun altro invece che una minaccia incombente per il proprio Paese, che se non affrontata rovinerà il futuro dei loro figli e nipoti... Non sono a conoscenza di nessun osservatore russo serio o di nessun capo dell’intelligence della difesa di un Paese della Nato (...) che non creda che Putin, se otterrà quello che vuole, non sia pronto a passare al prossimo obiettivo, che sia o meno all’interno della Nato”. La docente in Relazioni internazionali, Natalie Sabanadze, ha riconosciuto le ragioni di Donald Trump quando ha minacciato, se diventerà presidente Usa, di lasciare al loro destino i membri Nato che non rispettano gli impegni economici alla Difesa: “A Bruxelles non si parla che del rischio che gli Usa si ritirino dall’alleanza e molti Paesi hanno già intensificato la produzione di armi che è aumentata del 40%, ma faranno in tempo? E riusciranno a coordinare gli sforzi?”. Per Ben Noble, docente di Politica russa a Ucl e membro di Chatham, la morte violenta di Navalny rischia di non aver alcun impatto interno: “Nell’opposizione russa ci sono state molte dichiarazioni di tristezza, rabbia e solidarietà (...) ma in passato non abbiamo assistito a una mobilitazione duratura. Le conseguenze devono essere rapide, severe, coordinate e a lungo termine. Se la reazione sarà debole, i prigionieri politici rimasti in vita in Russia saranno messi in pericolo ancora maggiore”.
MINACCIA “L’UE NON HA CAPITO CHE È UN PROBLEMA IMMINENTE”