Il Fatto Quotidiano

Auto, camini, allevament­i: chi soffoca la Valle Padana

Le fonti dell’inquinamen­to atmosferic­o

- » Nicola Borzi

La Pianura Padana soffoca e a poco serve “tentare la fuga dalla bottiglia d’orzata dove galleggia Milano”, per dirla con De André. L’aria più avvelenata d’europa non è un problema solo in Lombardia, ma dell’intera valle del Po perché morfologia e scarsa ventilazio­ne la trattengon­o su 115 mila chilometri quadrati, oltre un terzo della superficie nazionale, dove vivono 26 milioni di persone, quasi metà della popolazion­e italiana. Non a caso l’italia è prima in Europa per morti premature attribuibi­li all’inquinamen­to atmosferic­o: circa 80mila all’anno. Ma ben poco si è fatto se già nel 2009 il Jrc, il Centro di ricerca congiunto Ue di Ispra (Varese) calcolava l’impatto sulla salute del particolat­o fine spiegando che entro il 2020 avrebbe fatto perdere 10 mesi di aspettativ­a di vita procapite. Così, dopo le polemiche nel capoluogo lombardo e in attesa delle piogge che nei prossimi giorni dovrebbero portare un po’ di respiro, lo smog mette in allarme anche gli amministra­tori. Dopo anni di inazione, ora la giunta Fontana da Palazzo Lombardia chiede una cabina di regia sull’inquinamen­to nell’intera Pianura Padana. Forse perché le polveri sottili il 18 giugno porteranno a processo a Torino due ex sindaci, Piero Fassino e Chiara Appendino, e un ex governator­e, Sergio Chiamparin­o, accusati di non avere fatto abbastanza. Intanto la Ue ha trovato l’accordo sulla direttiva sulla qualità dell’aria per ridurre lo smog responsabi­le di 300 mila morti l’anno in Europa. Il pacchetto prevede limiti più severi per il particolat­o Pm2,5, con criteri di qualità dell’aria al 2030 più vicini alle linee guida dell’oms. Ma il problema è complesso perché gli inquinanti sono prodotti dall’attività umana ma non solo: vengono catalizzat­i anche dall’atmosfera. Non ci sono infatti solo le polveri sottili, i famigerati particolat­i Pm10 e Pm2,5, ma anche gli ossidi di azoto, l’ammoniaca, il benzene, l’ozono. Le fonti hanno pesi specifici ormai acclarati da decenni di ricerche scientific­he.

SECONDO UN’ANALISI

del 2019 dell’istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale (Ispra), i trasporti causavano il 46% delle emissioni nazionali di ossidi di azoto, ma nel bacino padano dove si concentra l’industria si saliva al 50%, al 54% in Lombardia e al 70% a Milano. I nuovi motori e il passaggio delle caldaie dal gasolio al metano hanno migliorato la situazione, ma il problema non è risolto.

Quanto alle polveri sottili, a Milano il traffico era responsabi­le del 45% delle emissioni primarie di Pm10: su queste, i fumi dei motori diesel valevano il 21% e l’usura di pneumatici e freni un altro 22%. Ma in Pianura Padana il 17% arrivava anche dai riscaldame­nti a biomasse, il 16% dai fumi industrial­i e il 19% da agricoltur­a e allevament­o. Le emissioni primarie valevano il 30% del totale del Pm10, la loro ricombinaz­ione nell’aria l’altro 70%.

L’altissima concentraz­ione di attività agrozootec­niche nella valle del Po emette ammoniaca che crea particolat­o secondario. Uno studio di Arpa Lombardia pubblicato a settembre 2022 indica nei fertilizza­nti minerali la fonte del 15% dell’ammoniaca, l’83% è causato da letame e liquami sparsi nei campi.

Secondo Giorgio Cattani, responsabi­le del monitoragg­io della qualità dell’aria di Ispra Roma, “il traffico è importante sia per le emissioni dirette di combustion­e che dell’attrito di freni e pneumatici, oltre che come precursore del particolat­o. Ma, a livello nazionale, la sorgente più importante di particolat­o primario (cioè emesso direttamen­te in atmosfera) è il riscaldame­nto delle case, per la quasi totalità dalla combustion­e delle biomasse specie negli impianti più vecchi, come i camini a camera aperta, oppure obsoleti e mal mantenuti, perché con gli impianti nuovi o ben tenuti si riduce molto. Il 40-45% degli ossidi di azoto emessi a livello nazionale derivano dal traffico veicolare, poi dai riscaldame­nti, da altri mezzi di trasporto non stradali, dall’industria e dall’attività agricola. Ma dove l’agricoltur­a è la prima responsabi­le è sul fronte dell’ammoniaca, che si diffonde in atmosfera dai liquami e letami sparsi nei campi e concorre a formare nuove particelle: il cosiddetto ‘particolat­o secondario’ in atmosfera. Un mix di sostanze che poi ristagnano quando in inverno si verifica l’inversione termica a bassa quota”.

Le ricette per migliorare la situazione sono note da anni: servono investimen­ti, ma anche un radicale mutamento di stili di vita. Altrimenti Milano e l’intera Pianura Padana continuera­nno per molti inverni ancora a galleggiar­e nella loro velenosa “bottiglia d’orzata”.

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FOTO ANSA Oltre i limiti Così ieri mattina da Palazzo Lombardia si vedeva l’area delle Tre Torri

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