Auto, camini, allevamenti: chi soffoca la Valle Padana
Le fonti dell’inquinamento atmosferico
La Pianura Padana soffoca e a poco serve “tentare la fuga dalla bottiglia d’orzata dove galleggia Milano”, per dirla con De André. L’aria più avvelenata d’europa non è un problema solo in Lombardia, ma dell’intera valle del Po perché morfologia e scarsa ventilazione la trattengono su 115 mila chilometri quadrati, oltre un terzo della superficie nazionale, dove vivono 26 milioni di persone, quasi metà della popolazione italiana. Non a caso l’italia è prima in Europa per morti premature attribuibili all’inquinamento atmosferico: circa 80mila all’anno. Ma ben poco si è fatto se già nel 2009 il Jrc, il Centro di ricerca congiunto Ue di Ispra (Varese) calcolava l’impatto sulla salute del particolato fine spiegando che entro il 2020 avrebbe fatto perdere 10 mesi di aspettativa di vita procapite. Così, dopo le polemiche nel capoluogo lombardo e in attesa delle piogge che nei prossimi giorni dovrebbero portare un po’ di respiro, lo smog mette in allarme anche gli amministratori. Dopo anni di inazione, ora la giunta Fontana da Palazzo Lombardia chiede una cabina di regia sull’inquinamento nell’intera Pianura Padana. Forse perché le polveri sottili il 18 giugno porteranno a processo a Torino due ex sindaci, Piero Fassino e Chiara Appendino, e un ex governatore, Sergio Chiamparino, accusati di non avere fatto abbastanza. Intanto la Ue ha trovato l’accordo sulla direttiva sulla qualità dell’aria per ridurre lo smog responsabile di 300 mila morti l’anno in Europa. Il pacchetto prevede limiti più severi per il particolato Pm2,5, con criteri di qualità dell’aria al 2030 più vicini alle linee guida dell’oms. Ma il problema è complesso perché gli inquinanti sono prodotti dall’attività umana ma non solo: vengono catalizzati anche dall’atmosfera. Non ci sono infatti solo le polveri sottili, i famigerati particolati Pm10 e Pm2,5, ma anche gli ossidi di azoto, l’ammoniaca, il benzene, l’ozono. Le fonti hanno pesi specifici ormai acclarati da decenni di ricerche scientifiche.
SECONDO UN’ANALISI
del 2019 dell’istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale (Ispra), i trasporti causavano il 46% delle emissioni nazionali di ossidi di azoto, ma nel bacino padano dove si concentra l’industria si saliva al 50%, al 54% in Lombardia e al 70% a Milano. I nuovi motori e il passaggio delle caldaie dal gasolio al metano hanno migliorato la situazione, ma il problema non è risolto.
Quanto alle polveri sottili, a Milano il traffico era responsabile del 45% delle emissioni primarie di Pm10: su queste, i fumi dei motori diesel valevano il 21% e l’usura di pneumatici e freni un altro 22%. Ma in Pianura Padana il 17% arrivava anche dai riscaldamenti a biomasse, il 16% dai fumi industriali e il 19% da agricoltura e allevamento. Le emissioni primarie valevano il 30% del totale del Pm10, la loro ricombinazione nell’aria l’altro 70%.
L’altissima concentrazione di attività agrozootecniche nella valle del Po emette ammoniaca che crea particolato secondario. Uno studio di Arpa Lombardia pubblicato a settembre 2022 indica nei fertilizzanti minerali la fonte del 15% dell’ammoniaca, l’83% è causato da letame e liquami sparsi nei campi.
Secondo Giorgio Cattani, responsabile del monitoraggio della qualità dell’aria di Ispra Roma, “il traffico è importante sia per le emissioni dirette di combustione che dell’attrito di freni e pneumatici, oltre che come precursore del particolato. Ma, a livello nazionale, la sorgente più importante di particolato primario (cioè emesso direttamente in atmosfera) è il riscaldamento delle case, per la quasi totalità dalla combustione delle biomasse specie negli impianti più vecchi, come i camini a camera aperta, oppure obsoleti e mal mantenuti, perché con gli impianti nuovi o ben tenuti si riduce molto. Il 40-45% degli ossidi di azoto emessi a livello nazionale derivano dal traffico veicolare, poi dai riscaldamenti, da altri mezzi di trasporto non stradali, dall’industria e dall’attività agricola. Ma dove l’agricoltura è la prima responsabile è sul fronte dell’ammoniaca, che si diffonde in atmosfera dai liquami e letami sparsi nei campi e concorre a formare nuove particelle: il cosiddetto ‘particolato secondario’ in atmosfera. Un mix di sostanze che poi ristagnano quando in inverno si verifica l’inversione termica a bassa quota”.
Le ricette per migliorare la situazione sono note da anni: servono investimenti, ma anche un radicale mutamento di stili di vita. Altrimenti Milano e l’intera Pianura Padana continueranno per molti inverni ancora a galleggiare nella loro velenosa “bottiglia d’orzata”.