IL POTERE ANARCHICO
La democrazia nasce grazie alle rifugiate Pólis, una rivoluzione rosa
Pubblichiamo uno stralcio di “Democrazia e anarchia. Il potere nella polis”, l’ultimo saggio della “nostra” Donatella Di Cesare, in libreria con Einaudi.
Èvenuto forse il tempo di mettere finalmente in discussione un giudizio diventato troppo chiaro, troppo condiviso, quasi un postulato: l’esclusione delle donne dalla città. Un tale compito, però, appare tanto più ingrato, in quanto la documentazione è molto scarsa e per di più i testi tramandati sono redatti da uomini. Lo stesso vale per le fonti epigrafiche e iconografiche... Tutto sembra convergere verso l’ortodossia che rappresenta la pólis come un club di uomini. Il che non fa che confermare ulteriormente l’idea della Grecia uniforme e astorica, inizio assoluto, fondamento – tutto al maschile – dell’occidente.
La citazione fortunata, rilanciata a più riprese, è quella di Vidal-naquet: “La città greca, nel suo modello classico, si è definita grazie a un duplice rifiuto: rifiuto della donna, per cui la città greca è ‘un club di uomini’, rifiuto dello schiavo, per cui è ‘un club di cittadini’”... Se gli schiavi sono crudamente non-cittadini, la posizione delle ghunaîkes, le “spose ateniesi”, appare sfuggente e incerta. Non propriamente escluse, fanno parte della città in maniera indiretta – attraverso un padre, un marito o un altro membro della famiglia, un kúrios, un capo e custode. È tuttavia mediante questo legame che rientrano nella comunità godendo della piena protezione della legge garantita a ogni cittadino. Dunque, dentro o fuori? L’indecisione mina già il confine sicuro e assume tinte sinistre e fosche. Né inserite nella sfera dei cittadini né registrate nel gruppo dei non-cittadini, perché quel’accoglienza’’sto
gruppo composito si pensa comunque al maschile, le donne rischiano di costituire una minaccia per l’ordine androcentrico della città.
Aristotele in un passo famoso della Politica, dove fa riferimento in particolare a Sparta, da un canto non annovera le donne tra le categorie dei non-cittadini, dall’altro aggiunge che sono “la metà della città” (1269 b 12-19). Divisa “per così dire” in due – “due gruppi separati, quello degli uomini e quello delle donne” – la pólis presenta una fenditura, una sorta di taglio originario, che non può sfuggire. Di quella metà formata da donne – spiega inoltre Aristotele – è opportuno occuparsi e preoccuparsi, perché altrimenti si ripeterà l’errore del legislatore spartano che, mirando a una città forte, le trascurò, sicché “vivono senza freno!”.
Di qui il paragone tra l’ánesis, l’allentamento dei vincoli, l’eccessiva libertà concessa agli schiavi e quella accordata alle donne. In entrambi i casi il pericolo è politico: l’indulgenza verso gli schiavi provoca la rivolta e la rivendicazione dell’uguaglianza; la tolleranza verso le donne ha invece un esito diverso che Aristotele riassume in modo icastico: “Che differenza fa se le donne comandano o se le donne comandano coloro che comandano?”. Non si delinea uno scontro frontale, diretto e aperto, come avviene per gli schiavi; piuttosto c’è uno sdoppiamento in atto del potere, che apre una falla, una crepa, una dispersione, perché se il comando può essere comandato, allora non è più quell’arché originaria e sovrana che veniva contrabbandata... Il potere si dissemina. La temuta e derisa ginecocrazia non è già una fenditura anarchica dell’arché?..
Le donne sono comunque “la metà della città”, secondo la significativa espressione di Aristotele. Pur se prese in ostaggio, condotte lontano, asservite, le donne non restano inerti, per quanto rassegnate. La stessa ambivalenza affiora lì dove, associate in ciò agli schiavi, sono una figura per pensare il temibile disordine nella città, la taraché, lo scompiglio, l’agitazione o, quasi ancora peggio, il thóribos, il tumulto... Le donne premono ai confini della pólis, minacciano la politica degli ándres, la incalzano dal lato del politico. Le incursioni non frequenti di quella collettività cosí impensabile, che si possono captare nella trama serrata della narrazione, persino in quella degli storici, attestano le due grandi minacce paventate: da un canto la secessione, dall’altro il conflitto, la rivolta. E la refrattarietà alla guerra (che cosa c’è di più archico della guerra?) sembra corrispondere a un necessario nesso proprio con la stásis...
È una stásis di donne a far emergere la democrazia. Il che non stupisce se si ricorda il monito beffardo di Platone, per cui la democrazia è il paradiso delle donne. Ma il contesto ha tinte drammatiche. A irrompere sulla scena sono straniere in fuga da violenza familiare, rifugiate che invocano protezione politica. La richiesta di quelle donne, appena approdate dopo una lunga traversata, mette alla prova la democrazia, la testa e l’attesta insieme. Prima non se ne conosceva l’esistenza, non se ne sapeva, anzi, neppure il nome... La democrazia nasce su una soglia, in riva al mare, tra lo spazio sacro, dove sono ferme le migranti, e l’assemblea cittadina in cui il popolo è chiamato a votare l’accoglienza. Scaturisce da una pressione anarchica, un arrivo improvviso, che si rivela un rientro, uno scambio di esterno e interno, una sospensione di confini. Non senza minacce all’orizzonte. Il dramma della migrazione e il dramma della democrazia sono tutt’uno.