Il Fatto Quotidiano

JULIAN, ALEXEJ E GIULIO: TRE VOCI DA ZITTIRE

- » Antonio Padellaro

Che cosa unisce le vicende umane di Alexej Navalny, Julian Assange e Giulio Regeni, i cui nomi sono citati nelle cronache di queste ore, sia pure per vicende diverse e con spazio dedicato assai diverso? Li accomuna la totale, terrifican­te solitudine al cospetto di un dominio smisurato che ha disposto e dispone della loro vita e della loro morte (anche se il sopravvive­re in certe condizioni può essere peggio che morire). C’è chi s’inalbera con chi osa fare paragoni, che giudica blasfemi, tra Navalny e Assange, mentre si trastulla misurando, a spanne, la malvagità del Demone assolutist­a che tortura e uccide la carne non potendo sopprimere il pensiero e la forza d’animo dell’oppositore. E che giudica non confrontab­ile con la legittimit­à del Moloch democratic­o che ti costringe a una miserabile sopravvive­nza, murato vivo in una sede diplomatic­a o in una prigione. In fondo, parliamo di due blogger, ma vuoi mettere se quello che ancora respira può beccarsi quattro o cinque ergastoli, in forza della “sovranità delle legge”? A costoro si può solo rispondere con l’immortale frase di Marshall Mcluhan: “L’indignazio­ne morale è una tecnica utilizzata per dotare l’idiota di dignità”. Tuttavia, per provare a non essere inserito nella nuova, incombente colonna infame degli oggettivam­ente filoputini­ani, e dunque nemici dell’occidente e dei suoi valori, scriverò solo dell’umanità di Giulio Regeni, torturata in qualche segreta del regime egiziano e maciullata sotto un cavalcavia del Cairo. Il processo nei confronti di coloro che l’hanno ucciso è cominciato a Roma anche se i suoi aguzzini, al sicuro mille miglia lontano, non subiranno alcuna conseguenz­a penale. Non potranno però sottrarsi all’infamia di avere costretto un giovane uomo, innocente, strappato alla famiglia che lo adorava, a guardare in faccia un’indicibile sofferenza, nella solitudine più tetra, forse anche invocando la morte come una liberazion­e. Del tormento degli innocenti, colpevoli solo di essere se stessi e di perseguire i propri sogni e ideali, non pretendiam­o certo di convincere chi preferisce vergare delle operette morali, al calduccio, sul divano.

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