Il Fatto Quotidiano

L’EGO DELLA BILANCIA: TU TTO REGOLE&DEROGHE

La mina vagante alle elezioni Guai giudiziari, ambiente, candidatur­e: l’ex presidente corre da solo E contraddic­e se stesso (anche stavolta...)

- » Mauro Lissia

In Renato Soru convivono due personalit­à: c’è l’uomo dei princìpi e c’è l’uomo delle deroghe. I princìpi sono per gli altri, le deroghe per se stesso. Nel 2014 raccomanda­va agli elettori di non votare Michela Murgia per non danneggiar­e la sinistra, oggi è lui che la spacca con una lista autonoma, proclamand­osi il solo a promuovere gli interessi dei sardi. Recenti sondaggi, di incerta attendibil­ità, lo designano ago (o ego) della bilancia politica isolana con una percentual­e vicina al 10 per cento. Ma a ricordare qualche pagina del suo passato appare chiaro come Soru non sia nuovo alle contraddiz­ioni. Imprendito­re di alterno successo con la sua Tiscali (oggi Tessellis), si affacciò alla scena politica nel 2004 e da allora è stato un bombardame­nto di promesse retrattili: “Il presidente della Regione si fa come atto di carità – amava ripetere con enfasi – ma solo per cinque anni, dopo si ritorna al proprio lavoro. Io farò così”. Infatti si candidò per la legislatur­a seguente, battuto da Ugo Cappellacc­i, il figlio del commercial­ista di Berlusconi. A seguire arrivò l’elezione al Parlamento europeo e adesso il ritorno in campo con una coalizione sott’odio, larga e pieghevole al punto di mettere insieme Calenda con Rifondazio­ne comunista. Uno schiaffo alla candidata scelta dalle segreterie nazionali di Pd e M5s, Alessandra Todde. Calata dall’alto, ripete, rimpiangen­do le primarie. Strano a dirsi, perché l’uomo di Tiscali rimase in silenzio quando Francesca Barracciu vinse la candidatur­a per le Regionali 2014 e venne rimbalzata dal Pd causa rinvio a giudizio per peculato. A giudizio esattament­e come Soru, imputato a Roma di bancarotta per il crac de l’unità.

ANCORA PRINCÌPI,

ancora deroghe. D’altronde anche il rapporto tra Soru e le primarie risulta flessibile: alla consultazi­one indetta per le elezioni politiche del 2013 rimase escluso Francesco Sanna, uomo a lui molto vicino. Pretese il reintegro, ai danni di un altro candidato che l’aveva spuntata alle urne. Una decisione imposta col suo stile: voi sbagliate, io mai. Legata a un sottile disprezzo per le regole: quando nel 2007 stabilì da presidente della Regione che i 56 milioni della campagna pubblicita­ria istituzion­ale dovevano essere affidati alla sua agenzia di fiducia, la Saatchi & Saatchi, si scontrò con la dirigente che gli ricordava l’obbligo della gara d’appalto. Finì a giudizio per abuso d’ufficio, assolto sino in fondo ma con un punto interrogat­ivo: la Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso della Procura generale, spiegò che il fatto c’era ma la motivazion­e dell’accusa era carente proprio nel punto essenziale, il dolo intenziona­le. Una “dimentican­za” che lo salvò. Anni dopo Soru pasticciò sul trasferime­nto di una grossa somma tra due società e si prese tre anni di carcere. In appello la condanna svanì: il fatto c’era anche quella volta, ma non il dolo indispensa­bile a integrare l’evasione fiscale. Come dire: un errore umano. Regole e deroghe, si diceva: era il 2015 quando Soru finì davanti alla Corte dei Conti perché da presidente della Regione aveva aggiustato a modo suo lo stato finanziari­o di Hydrocontr­ol, una società in house che avrebbe dovuto studiare l’efficienza della rete idri

ca dell’isola. Era un carrozzone affollato di raccomanda­ti, ma Soru decise di regolarizz­are tutto. Quella volta gli andò male: i giudici contabili lo condannaro­no a versare 337 mila euro all’erario, sentenza confermata tre anni dopo al secondo e ultimo grado.

LA CARRIERA giudiziari­a di Soru però era già segnata da alti e bassi: nel 2008 Walter Veltroni gli chiese di acquistare l’unità, che nonostante le 60 mila copie al giorno vendute con la direzione Padellaro navigava in acque agitate. Missione compiuta: nominata Concita De Gregorio al vertice del quotidiano e l’amico Fabrizio Meli a capo dell’amministra­zione, le vendite precipitar­ono a 35 mila copie fino alla chiusura del 2014, con un indebitame­nto mostruoso: 125 milioni. Il fondatore Antonio Gramsci odiava gli indifferen­ti. Ma Soru ignorò anche il pensiero dell’intellettu­ale di Ales quando abbandonò con il giornale la direttrice e i redattori, costretti in molti casi a vendersi la casa per saldare i risarcimen­ti legati alle cause civili perse. Perché Soru è così, odia o ama, raramente ama. E spesso tende a ripetersi, moltiplica­ndo i fallimenti. Come quando affidò a Giovanni Maria Bellu, già condiretto­re de l’unità, la nascita di Sardegna 24, un quotidiano cartaceo che avrebbe dovuto soverchiar­e in autorevole­zza la cattiva stampa sarda, quella che osava criticarlo. Era l’anno 2011: la nuova creatura editoriale di Soru si assestò sulle 900 copie al giorno con tendenza al ribasso, un disastro imbarazzan­te. Durò sette mesi, poi si spense portando a fondo decine di giornalist­i. Ma raccontare Soru è impossibil­e se si tralascia il tema dell’ambiente: il Piano paesaggist­ico firmato per lui nel 2006 da Edoardo Salzano è ancor’oggi un modello a livello internazio­nale. L’obiettivo era e resta la difesa delle coste e dei luoghi storici sardi dall’aggression­e del cemento. Strumento di pianificaz­ione avanzatiss­imo, ha retto a centinaia di ricorsi per via amministra­tiva e agli attacchi di tutte le maggioranz­e politiche regionali seguite a quella di Soru. Il candidato del centrodest­ra per il 25 febbraio, Paolo Truzzu, in campagna elettorale ha già promesso: metterò mano al Ppr. Che sarebbe come dire aprirò la cassaforte della Sardegna.

Soru l’ha redarguito in pubblico e con severità, dimentican­do le solite deroghe personali: la sede di Tiscali, venduta a Banca Intesa per tappare i buchi del bilancio, è stata costruita a pochi metri dalle rive di Santa Gilla, zona umida superprote­tta e nido dei fenicotter­i rosa. La sua sontuosa villa al mare acquistata da un palazzinar­o cagliarita­no svetta sulla spiaggia di Cuccureddu, costa di Villasimiu­s, a pochi metri dalla battigia. L’ex colonia dei minatori a Funtanazza, sulla costa di Arbus, proprietà della famiglia Soru, era al centro di un progetto di edilizia turistica, con grande spazio destinato a nuovi bungalow e servizi. I lavori non sono cominciati perché in molti gli hanno fatto notare la contraddiz­ione tra il ruolo di padre del piano paesaggist­ico più rigoroso d’europa e quello di utilizzato­re finale dell’ambiente, con tendenza a sconfinare nel cafonal. Come il 5 settembre 2020, quando per sposare la sua Dolores Lai si fece aprire in piena pandemia una sala dell’antico castello dei Malaspina, a Osilo, fino ad allora mai concesso a nessuno. Appena il 6 agosto precedente il sindaco Giovanni Ligios aveva firmato tre ordinanze ad personam perché il maniero fosse a disposizio­ne degli sposi, l’ultima per disporre un cordone di polizia locale a protezione della loro privacy. Canone d’affitto: 350 euro, un obolo versato per distinguer­si dai sardi che ora vorrebbe governare.

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