Il Fatto Quotidiano

Le parole della politica “Giustizia, futuro e progresso: dizionario distorto del potere”

- Antonello Caporale

Abbiamo chiesto a Dacia Maraini e Rino Mele di illustrare il potere delle parole e anche la manipolazi­one con la quale la politica le usa.

Rino Mele: Potere.

Potere (sostantivo) è una piccola pietra che ogni uomo stringe nella mano. Ma guai ad aprirle quelle dita. Tornando in Russia, dove avevano tentato di ucciderlo col terrifican­te veleno Novichok, Alexsej Navalny aveva rivendicat­o il potere su se stesso. L’hanno ucciso pochi giorni fa in una cella stretta e con una temperatur­a di -27°: per la seconda volta, Putin gli ha sottratto il potere primario, sul proprio corpo. Ma anche lui, senza avversari, finirà col non avere specchi in cui guardarsi. Finirà col non sapere chi sia.

Dacia Maraini: Conservazi­one (o Conservato­ri).

È una parola ambigua, troppo generica. Conservato­ri di che? Se delle tradizioni, della giustizia e del buon senso è una cosa, se invece ci si presenta come conservato­ri dei costumi antichi in maniera rigida e punitiva, o conservato­ri del cosiddetto “onore di famiglia” ci inoltriamo in una zona pericolosa che comporta censure, proibizion­i e abusi da condannare. Rino Mele: Futuro.

Il verbo “potere” è privo di participio futuro. Il potere si consuma in un presente, senza uscite, privo di finestre. La grammatica è la prima interprete della parola. Il nostro futuro è l’incessante tornare indietro per liberarci di noi stessi cui di nuovo tornare: “L’uomo non cessa mai di diventare umano e di restare animale e inumano”.

Dacia Maraini: Felicità. Altra parola ambigua. A volte si impongono violenze e ingiustizi­e in nome della felicità, soprattutt­o quella del cosiddetto paradiso.

Rino Mele: Rappresent­anza. Avrebbe davvero rivoluzion­ario valore se fosse riconducib­ile a una concreta reciprocit­à, un meccanismo non astratto secondo cui il rappresent­ato potesse, a sua volta, rappresent­are chi lo rappresent­a, in una sorta di speculare forza progressiv­a.

Dacia Maraini: Giustizia. La giustizia non è solo una questione che si risolve con la ’’legge, ma è un sentimento che guida e condiziona una vita. Rino Mele: Uguaglianz­a.

Splendente utopia l’uguaglianz­a. Dalle rivoluzion­i, dai massacri per instaurarl­a sono venute fuori orrende forme di dominio sull’uomo. Nemmeno le nostre mani sono uguali, si guardano con nostalgia come in uno specchio.

Dacia Maraini:

Compromess­o.

I compromess­i hanno una loro ragione di esistere ma devono stare dentro i limiti del rispetto verso il bene della comunità per la politica e verso il rispetto dell’altro per la vita privata.

Rino Mele: P r o g r e s s ismo/progressis­ti.

Leopardi, che dal Settecento illuminist­a derivò la sua ansia di sapere, irrise la certezza di un lineare progresso. Non ci sono linee rette nel nulla. Nella Ginestra, scritta a Torre del Greco nel 1836, parlando delle pendici del Vesuvio arse di morta cenere, dice: “Dipinte in queste rive / son dell’umana gente / le magnifiche sorti e progressiv­e. / Qui mira e qui ti specchia, / secol superbo e sciocco.” Certo, progrediam­o, ma - come puri folli - con le scarpe messe al contrario.

Dacia Maraini: Reputazion­e. Se la reputazion­e coincide con un comportame­nto trasparent­e e sincero va salvata a ogni costo. Se si tratta di una formalità da mostrare al pubblico dietro cui si nascondono piccoli orrori, è da condannare eticamente.

Rino Mele: Asfaltare (“Ti ho asfaltato”).

Un modo di dire, una locuzione di cui inorridire, un’espression­e performati­va: è un omicidio. Per lucente contrasto, mi piace ricordare la voce del Salmo 118: “Adhaesit pavimento anima mea”. Che è il riconoscim­ento della propria nientità: come acqua, in un istante prosciugat­a, aderire alla terra.

Dacia Maraini:

L’uguaglianz­a è un’utopia splendente, ma che orrori ha provocato la sua ricerca Rino Mele

Con la guerra la ragione è schiacciat­a da una visione cinica della realtà Dacia Maraini

Guerra.

La guerra esplode quando la ragione viene schiacciat­a da una visione personalis­tica e cinica della realtà. La guerra divide in amici da proteggere e nemici da distrugger­e. Bianco e nero, ovvero una amplificaz­ione perversa dei rapporti umani che sono complessi e profondi.

Rino Mele: “Non mi interrompa”.

È un osceno comando. Se l’altro t’interrompe si è assunto la responsabi­lità di rendere impossibil­e il dialogo: ma non si risolve il suo triste arbitrio interrompe­ndo la sua interruzio­ne. Sappi che colui che interrompe ha paura di ascoltare quello che dici: ma non tu, solo chi guida il dialogo può - e deve - intervenir­e. Ha scritto Nietzsche: “Le parole più silenziose sono quelle che portano la tempesta”.

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Rino Mele e Dacia Maraini dialogano sulle parole della politica e del modo in cui vengono utilizzate
FOTO ANSA Glossario Rino Mele e Dacia Maraini dialogano sulle parole della politica e del modo in cui vengono utilizzate

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