Il Fatto Quotidiano

La resistenza interiore Non rassegnamo­ci: il mondo non è soltanto il male che vediamo

- NANDO DALLA CHIESA

Sarà la guerra. Sarà Gaza. Sarà questa ondata di pavidità. Sarà questa fetida aria di Putin. Sarà il ritorno dei manganelli. Ma sento una voglia incontenib­ile di belle persone. Una volta si usava proprio questa espression­e. Per indicare non persone piacenti, curate, eleganti. Ma persone semplici, gentili, accoglient­i, capaci di gesti solidali o coraggiosi. Sorridenti e con la schiena diritta. Ecco, sulla scena pubblica mancano, se ne vedono di meno. E questo inaridisce gli orizzonti, accentua le solitudini. Al punto che, udite udite, mi sono scoperto ad ascoltare più volte il “mondo migliore” di Vasco, come a cercare nella musica quel che manca alle rappresent­azioni del mondo oggi vincenti.

Così arriva qui la mia dichiarazi­one politica, che mai avrei immaginato un giorno avesse un qualunque potenziale rivoluzion­ario. Ed è questa: la società globale, dell’informazio­ne di massa e dei social, ci chiama, tra le tante forme di resistenza, anche a una originale “resistenza interiore”, a non abituarci all’idea che il mondo sia solo fame, malattie, devastazio­ni, guerra, corruzione, violenza sui minori o femminicid­i o stragi in famiglia (possibili varianti: i successi sportivi e il festival di Sanremo). Tutti fenomeni veri, ma il cui intreccio ossessivo rischia di deporre un manto totalitari­o intorno al mondo, facendo perdere a chi lo abita la fiducia nel futuro, nella possibilit­à di contare qualcosa. Noi formiche impotenti, in mano a poteri politici, economici, militari e reli

giosi, e in più assediati dal basso da una crescente povertà educativa. Con poche belle persone intorno. Difficile pensare, convengo, che questo abbia a che fare con la politica, con le grandi lotte civili, in un mondo tanto incerto e apparentem­ente aperto a ogni esito.

RISCHIO LA SOCIETÀ GLOBALE PROVOCA ASSUEFAZIO­NE

MA VEDETE, nei suoi Scritti corsari Pasolini affermò una cosa importante e dimenticat­a. Disse che durante il fascismo la società italiana era rimasta pressoché uguale a se stessa. Possibile? Con la fine della democrazia, con Matteotti, i dissidenti uccisi e i processi politici, l’uomo solo (e dal torso nudo) al comando, lo Stato che si dava un’organizzaz­ione di massa, e poi la scelta sciagurati­ssima della guerra: come si poteva dire che la società fosse rimasta fondamenta­lmente uguale a prima? Ma Pasolini pensava alla vita, ai costumi, ai valori quotidiani degli italiani, al sostrato resistente e intessuto di finzione, quello di

Amarcord di Fellini, che neanche l’olio di ricino riuscì ad abbattere. Gli italiani li cambiò invece la television­e, allora sì che arrivò la mutazione antropolog­ica. Nel nuovo contesto di pace e democrazia cambiò davvero tutto: ma silenziosa­mente e in profondità. Così vorrei dire di oggi. Non sarà tanto la globalizza­zione vera, con tutti i suoi problemi duri e anche sconvolgen­ti, a cambiarci. Ma sarà la sua “pacifica” rappresent­azione. Per effetto dei fatti che siamo portati a selezionar­e e a servire alle nostre emozioni e alla nostra ragione. Nelle case popolari di C’è ancora domani, il bel film di Paola Cortellesi, le donne che parlano e spettegola­no scorgono il buono e il cattivo di ciascuno, il mondo per loro non è una sequenza indefinita di mali. Resistono. Mantengono un loro tessuto sociale. Per questo sono pronte a passare dal cortile delle ciance e delle maldicenze alle urne del suffragio universale venuto a liberarle. Incapaci di selezionar­e, noi rischiamo invece di non vedere più il buono, pur sapendo che esiste. Ma ciò non resterà senza conseguenz­e: si formerà una massa di persone impaurite e diffidenti pronte ad aumentare la “percezione” negativa di qualcosa, di qualsiasi cosa. Senza colonne a cui appoggiars­i, senza fede in nulla, nemmeno nella propria ragione. Questa è la resistenza (e guai a chi dice “resilienza”!) alla quale siamo chiamati. Prendiamoc­i oggi la responsabi­lità di ricostruir­e il nostro immaginari­o collettivo. Poi arriverà il resto.

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FOTO ANSA C’è ancora domani Paola Cortellesi

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