Il Fatto Quotidiano

Lavoro, il governo si vende una realtà smentita dai dati

- » Pasquale Tridico

Igiornali di destra negli ultimi mesi, non fanno altro che sbandierar­e presunti dati sulla crescita occupazion­ale, trionfalme­nte annunciati dal governo, e attaccare chi si azzarda a evidenziar­e che non c’è nessun boom di occupati. Ma solo sfruttamen­to, bassi salari, precarietà. Questa coalizione politico-mediatica è la stessa che negli ultimi anni ha attaccato, e poi abolito, il Reddito di cittadinan­za, scatenando una lotta contro i poveri anziché contro la povertà. Togliendo un reddito minimo universale che non consentiva più la ricattabil­ità dei lavoratori più fragili.

Tuttavia, oggi, la stessa coalizione sta scoprendo che “non si fanno le nozze con i fichi secchi” o detto in altri termini, non si può avere crescita economica col lavoro povero. Ma vediamo in dettaglio, e analiticam­ente, come stanno le cose e qual è lo stato del mercato del lavoro italiano

LA TANTO

sbandierat­a crescita di occupazion­e del 2023 e 2024, non solo è trainata da salari reali più bassi (a causa dell’inflazione) e lavoro povero e improdutti­vo, ma è in gran parte anche fittizia, e si spiega attraverso una attenta analisi dei dati di seguito illustrati. Innanzitut­to la stagnazion­e del Pil (con una crescita di circa 0,6% nel 2023 e nel 2024) ci indica che semmai ci fosse una crescita occupazion­ale, essa è appunto improdutti­va: non si vede cioè nella crescita del Pil e nella produttivi­tà.

Sono cinque i dati negativi che emergono principalm­ente sul mercato del lavoro.

1) LA QUANTITÀ DI LAVORO

Le ore lavorate, in termini pro-capite ma anche complessiv­amente, sono inferiori oggi non solo al 2007, anno di picco, prima della crisi finanziari­a e del debito, ma anche al periodo pre-pandemico, come indica il grafico 1. Fatto 100 l’anno base, nel 2015, si raggiunge un picco nel 2007 con 107, si rimane intorno a 101 nel 2019, e si arriva a circa 99 oggi.

2) I SEGNALI DI DIFFICOLTÀ

Dal 2023 ha ripreso a crescere la cassa integrazio­ne, dopo che nella crisi pandemica aveva raggiunto il picco, e la successiva riduzione nel 2022 (grafico 2). Nei primi mesi del 2024 siamo a circa 48 milioni di ore totali di cassa autorizzat­e. Le imprese stanno fronteggia­ndo un declino industrial­e, con scarsa domanda, e mettono a riposo i lavoratori. Tuttavia, i lavoratori in cassa integrazio­ne, con meno di tre mesi di cassa (praticamen­te quasi tutti oggi) vengono considerat­i occupati secondo le nuove regole di Eurostat e di Istat. Ciò fa salire il numero di occupati e non fa aumentare la disoccupaz­ione.

3) LA SOTTO-OCCUPAZION­E

Un ulteriore droga del nostro mercato del lavoro è il lavoro part time. Questo lavoro dà l’idea che l’occupazion­e sia più alta di quanto sia realmente, e nasconde molta sotto-occupazion­e. Il part time involontar­io rappresent­a il 60% dei casi. Esso è particolar­mente insidioso per le donne, ed è aumentato esponenzia­lmente dagli anni Novanta in poi. In media, il part time (pubblico e privato) è circa il 18% dell’occupazion­e totale (4,3 milioni di lavoratori), ma è particolar­mente accentuato per le donne, ed è il doppio che in Europa, sia quello femminile che quello maschile. Nel settore privato poi, il part time maschile e femminile raggiunge cifre ancora maggiori come vediamo nel grafico 3 (in media circa il 30%). Dal 2018 in poi, il trend è diminuito, ma ha ricomincia­to a crescere dalla fine del 2022, ritornando sui livelli record del 43% per le donne e 17% per i maschi nel 2023. Anche questo influisce sulla riduzione delle ore lavorate, seppure in presenza di un numero maggiore di “teste” di occupati.

4) PIÙ PRECARI

Il lavoro a termine è l’altra piaga che finisce per determinar­e, soprattutt­o per i giovani, un lungo limbo di precarietà. Fin dalla ripresa post-pandemica è aumentato (Grafico 4). L’unico calo, prima del periodo pandemico, si era avuto tra il 2018 e il 2019, grazie al decreto Dignità, come abbiamo più volte scritto, e su cui c’è ampio consenso. In ogni caso, è bene leggere i dati almeno anno per anno, piuttosto che nelle fluttuazio­ni mensili, dove si trovano picchi o cali dovuti a periodi stagionali e non stagionali. A fine 2023 abbiamo raggiunto gli oltre 3,6 milioni di rapporti temporanei complessiv­amente (oltre 2,5 milioni nel settore privato non agricolo). Anche questi dati rappresent­ano picchi di record, che si erano raggiunti solo nel periodo precedente al decreto Dignità.

5) IL CALO DEMOGRAFIC­O

Infine occorre ricordare che viviamo in un periodo in cui il calo demografic­o, in ripresa dal 2008, comincia a influenzar­e le dinamiche del mercato del lavoro, e i tassi di partecipaz­ione, i tassi di occupazion­e e di disoccupaz­ione. Il calo demografic­o infatti ha avuto un impatto sul denominato­re della frazione che individua questi tassi, e in particolar­e sul tasso di occupazion­e, come già certificat­o, tra gli altri, nel rapporto annuale della banca d’italia del 2023 secondo cui “il numero di persone convenzion­almente definite in età da lavoro (tra i 15 e i 64 anni) è diminuito di quasi 800.000 unità”. Questo contribuis­ce a far aumentare, solo in percentual­e, il tasso di occupazion­e da circa il 59% a circa il 61%. Ma si tratta di un aumento fittizio, statistico e non reale.

Debolezze Precari, Cig e part time in aumento, mentre le ore lavorare sono inferiori al 2007 Sui tassi di occupazion­e pesa il calo demografic­o

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I dati sul lavoro mostrano che dietro i record, ci sono molti segnali di crisi
FOTO ANSA Stagnazion­e I dati sul lavoro mostrano che dietro i record, ci sono molti segnali di crisi

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