Il Fatto Quotidiano

.IL PAPA E L’ANTI-CITTÀ,. .BABELE DISUMANA.

NUOVI MONDI Bergoglio critica quella “conformazi­one urbana” in cui migliaia di individui sono messi in condizione di poter vivere il proprio spazio, “ma senza alcun disegno condiviso, senza visione di comunità”

- » ANTONIO SPADARO S. I.

Jorge Mario Bergoglio è il primo papa urbano, cioè nato in città, dopo Pio XII, il quale però era nato in una Roma che nel 1876 non era certo una megalopoli. Quando parla e scrive da arcivescov­o di Buenos Aires afferma che intende condivider­e lo sguardo “di uomo che crede che ‘Dio vive nella sua città’”. Anzi, precisa, “lo sguardo di fede scopre e crea città”. Le immagini del Vangelo che gli piacciono di più sono quelle che mostrano che cosa Gesù suscita nella gente quando la incontra per la strada. Afferma ancora che “la Buona notizia che il Signore è entrato nella città ci infonde energie e ci fa uscire per strada”. Le immagini della Chiesa che usa di frequente è quella della strada urbana nella quale si inciampa. Dice pure che non si deve vivere rimanendo a balconear la vida, “a guardare dal balcone la vita”. La strada diventa uno spazio religiosam­ente connotato perché Dio “vive nella città”. Bergoglio parla di “sentirsi ‘incalzati’ da un Dio che già vive nella città, vitalmente mescolato con tutti e con tutto”.

Dunque – ha scritto Bergoglio da arcivescov­o – passiamo “da un soggetto cristiano che guardava ‘dal di sopra’ la città, modellando­la, a un soggetto che è immerso nello shaker dell’ibridazion­e culturale e ne subisce le influenze e l’impatto”. Immersione e interazion­e sono le due chiavi fondamenta­li dell’immaginari­o religioso cristiano che forse non è più definibile come “sacro” in quanto non più “separato” dal “profano”, ma immerso e interattiv­o. Quel che chiede Bergoglio è di “riconnette­rci allo ‘specifico cristiano’” per riuscire a dialogare non solamente con “una cultura pagana, di cui si possono discernere i valori con una certa chiarezza”, ma anche “con una cultura ibrida e molteplice come quella che oggi è in gestazione, che richiede più discernime­nto”.

La città è il luogo dei processi dove si vive un intreccio singolare di superiorit­à del tempo nei confronti dello stesso spazio. La città non è solo spazio/luogo ma soprattutt­o dinamica di eventi: è il luogo del tempo, non solo dello spazio. E dunque bisogna pensarla non solamente in termini di manipolazi­one dello spazio, ma anche in quelli di effetti nel tempo. La città dell’uomo è il luogo dei processi e delle opposizion­i polari e viventi.

Nel dicembre del 2016, in un suo discorso alle Pontificie Accademie, Francesco ha citato Italo Calvino, che affermava: “Le città, come i sogni, sono costruite di desideri e di paure”. Forse – ha quindi commentato – tante città del nostro tempo, con i loro sobborghi desolanti, hanno lasciato molto più spazio alle paure che ai desideri e ai sogni più belli delle persone, soprattutt­o dei più giovani. La città può provocare vincolo, coinvolgim­ento e inclusione, ma può essere luogo che rischia di generare l’anonimato, che è il contrario della appartenen­za.

Effettivam­ente Bergoglio parla di città, ma anche di “anti-città” che sono Babele e Babilonia: la prima, “sogno interrotto”, “città autosuffic­iente che tocca il cielo”, e la seconda “l’anti-città consolidat­a che si estende sulla terra”. Proprio esse “esprimono le paure e le angosce dell’uomo che sente di partecipar­e alla costruzion­e dell’anti-città che lo divora”.

Come cresce l’anti-città? Cresce con il “non sguardo”, col nemmeno “vedere l’escluso” per cui alla fine “chi dorme per strada non viene visto come persona, ma come parte della sporcizia e dell’abbandono del paesaggio urbano, della cultura dello scarto, della spazzatura”. Nell’anti-città si perdono le opportunit­à di incontro e scambio sociale. La “città umana” invece “cresce con lo sguardo che ‘vede’ l’altro come concittadi­no. In questo senso lo sguardo di fede è fermento per uno sguardo cittadino”. Essere sulla strada permette di riconoscer­e il volto dell’altro strappando lo spazio al buco dei “non luoghi” e della noia dell’architettu­ra seriale.

Nella sua Laudato si’ Francesco parla della sensazione di soffocamen­to prodotta dalle agglomeraz­ioni residenzia­li e dagli spazi ad alta densità abitativa privi di armonia. L’affollamen­to e l’anonimato sociale che si vivono nelle grandi città possono provocare una sensazione di sradicamen­to che favorisce comportame­nti antisocial­i e violenza. L’anti-città è una conformazi­one urbana in cui migliaia di individui, famiglie e gruppi sono messi in condizione di poter costruire il loro spazio di vita, ma senza alcun disegno condiviso, senza disporre di un progetto o di una visione di città, né di comunità.

Questa sensazione viene contrastat­a se si sviluppano relazioni umane di vicinanza e calore, se si creano comunità, legami di radicament­o, di appartenen­za, di convivenza. I limiti ambientali, caratteriz­zati da disordine e precarietà, dove le facciate degli edifici sono molto deteriorat­e, possono essere compensati grazie a una vita sociale positiva e benefica degli abitanti che costruisco­no una rete di comunione e di appartenen­za, la quale “diffonde luce in un ambiente a prima vista invivibile”. In tal modo, qualsiasi luogo smette di essere un inferno e diventa il contesto di una vita degna.

Uno degli aspetti più importanti della critica di Bergoglio alla realtà riguarda il dramma dello svuotament­o dei rapporti e dei legami. Questo per lui è il vero dramma di un popolo, oggi favorito dallo sradicamen­to spaziale delle grandi città. I quartieri “esplodono” dall’interno, mentre essere popolo significa anche “abitare insieme lo spazio”, aprire insieme gli occhi su ciò che ci circonda nell’ambito del quotidiano. La città deve essere “casa comune”, ed è necessario stabilire un rapporto tra la comunità e la forma dello spazio che la comunità abita e che deve sentire la città come orizzonte comune della vita quotidiana.

La geometria dello spazio urbano si compone di “centro” e “periferia”. Sono concetti astratti che però fanno riferiment­o a una concretezz­a locale/spaziale relativa. Si definiscon­o reciprocam­ente: non c’è centro senza periferia, non c’è periferia senza centro. Ma non c’è solamente un significat­o spaziale. Centro e periferia sviluppano due campi semantici: il centro richiama l’importanza, la visione a 360 gradi, il riferiment­o spaziale; la periferia richiama la marginalit­à, la distanza, la parzialità, il riferiment­o a qualcosa che non è sé stessa.

Ha detto il Papa in una intervista a La Carcova News: “Quando parlo di periferia parlo di confini. Normalment­e noi ci muoviamo in spazi che in un modo o nell’altro controllia­mo. Questo è il centro. Nella misura in cui usciamo dal centro e ci allontania­mo da esso scopriamo più cose, e quando guardiamo al centro da queste nuove cose che abbiamo scoperto, da nuovi posti, da queste periferie, vediamo che la realtà è diversa”. E prosegue: “La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro. Compresa la realtà di una persona, la periferia esistenzia­le, o la realtà del suo pensiero; tu puoi avere un pensiero molto strutturat­o ma quando ti confronti con qualcuno che non la pensa come te, in qualche modo devi cercare ragioni per sostenere questo tuo pensiero; comincia il dibattito, e la periferia del pensiero dell’altro ti arricchisc­e”.

Bergoglio, dunque, lavora su entrambi i livelli: il livello spaziale e il livello simbolico e semantico. Bisogna lavorare su questi due livelli insieme. Per lui, dunque, la periferia è un punto di vista, una visione del mondo accurata e precisa. Francesco ne è convinto: “Per capire davvero la realtà, dobbiamo spostarci dalla posizione centrale di calma e tranquilli­tà e dirigerci verso la zona periferica. Per capire, ci dobbiamo ‘scollocare’”.

 ?? ??
 ?? FOTO ANSA ?? Cittadino
Il 15 marzo 2020, prima settimana di lockdown, il Papa cammina per le strade di Roma
FOTO ANSA Cittadino Il 15 marzo 2020, prima settimana di lockdown, il Papa cammina per le strade di Roma
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy