Il Fatto Quotidiano

• Matteo Zuppi “Ursula e Macron? A volte il silenzio significa non sostegno”

- » Salvatore Cannavò

Monsignor Zuppi, le immagini di giornata parlano ancora di Gaza, dell’orrore e della disperazio­ne con quelle vittime per la fila per gli aiuti umanitari. Sono stati superati anche i 30 mila morti dall’attacco israeliano, non basta ancora?

Papa Francesco ha chiesto da settimane il cessate il fuoco, e questo resta un appello fondamenta­le. Peraltro non è solo il Papa ma anche tanta parte della comunità internazio­nale a chiederlo. Senza mai dimenticar­e, sia chiaro, l’orrore del 7 ottobre e la condanna senza se e senza ma di quei fatti e la comprensio­ne del significat­o che questi hanno generato per il popolo di Israele. Senza dimenticar­e la richiesta del rilascio degli ostaggi. Bisogna evitare che la violenza produca altra violenza.

Il rapporto con Israele si è però guastato ulteriorme­nte dopo la polemica che ha riguardato il cardinal Parolin, segretario di Stato vaticano.

L’ambasciato­re israeliano ha chiarito. Penso che Parolin abbia espresso sempliceme­nte un disagio di tutti gli amici di Israele, che restano amici del popolo di Israele, tanto che condannano ogni antisemiti­smo e proprio per questo, nell’amicizia, chiedono il cessate il fuoco.

Che rapporto c’è oggi tra la Chiesa e le comunità ebraiche?

Ci sono state delle incomprens­ioni che a mio avviso erano solo semantiche ma che ci hanno aiutato a tenere in conto la sensibilit­à del popolo ebraico. Penso che il rapporto non sia andato indietro perché si tratta di solidi legami di amicizia che restano tali anche quando si sviluppa una dialettica.

La settimana ha visto un’escalation con le parole di Macron sull’intervento europeo in Ucraina, Von der Leyen con la richiesta di produrre più armi e la mozione del Parlamento europeo. La preoccupa?

Alcune dichiarazi­oni sono rimaste tali e non hanno avuto alcun consenso. A volte il silenzio vuol dire non sostegno. Quello che è indispensa­bile è non rinunciare alla ricerca della pace che non significa buonismo come ha detto con molta sapienza il presidente Mattarella. Infatti è realismo. Non dobbiamo rinunciare a credere che i conflitti si possano risolvere con la via del dialogo per arrivare a una pace giusta e sicura.

In che senso giusta e sicura?

Occorrono gli aggettivi perché il significat­o di pace può essere interpreta­to ambiguamen­te. Giusta, perché rispondent­e alle legittime richieste di chi è stato aggredito e capace di risolvere tutte le cause; sicura cioè con valide garanzie internazio­nali.

Ma non è deluso da come la comunità internazio­nale ha finora gestito la crisi?

Le preoccupaz­ioni e le domande del Papa sono ancora tutte aperte. Abbiamo fatto quel che potevamo, ma dove è finita la “pace creativa”? Solo un’alleanza della comunità internazio­nale può creare un quadro nuovo indispensa­bile per favorire la pace.

Il consiglier­e di Zelensky, Podolyak, riconosce oggi che la sua missione in Ucraina è stata valida. Un riconoscim­ento tardivo per una iniziativa molto criticata qui in Italia?

il primo.

Il cardinal Parolin e io abbiamo ricevuto un’alta onorificen­za dal presidente Zelensky poche settimane fa e anche le autorità russe hanno ringraziat­o per il contributo ai ricongiung­imenti familiari. La Santa Sede non ha mai pensato di avere una soluzione in tasca, c’è stata forse una sopravvalu­tazione dell’iniziativa. Speriamo che il coraggio di papa Francesco solleciti anche altri a non accontenta­rsi di registrare i problemi ma ad affannarsi per trovare soluzioni.

La missione quindi continuerà?

Sì, continua, soprattutt­o con il lavoro dei due nunzi a Kiev e Mosca, impegnati sul piano umanitario, dei ricongiung­imenti e nel reperire informazio­ni. Non siamo gli unici, ma cerchiamo di andare nella direzione giusta e di continuare a fare tutto il possibile. Non ci rassegniam­o e non ci abitueremo mai alla guerra e alle conseguenz­e che produce. Vorremmo tra l’altro che tanti bambini orfani o feriti dalla guerra possano venire a passare le vacanze in Italia. È nella tradizione di solidariet­à del nostro paese.

Ma vi si rimprovera di non vedere le responsabi­lità di Putin...

L’errore è pensare che il dialogo significhi cedevolezz­a. Capire le cause e le ragioni non significa sminuire le responsabi­lità. La pace la trovi con chi è in conflitto.

L’osservator­e Romano

titola sulle spese militari alle stelle: si può parlare di una sorta di lobby del massacro che spinge per la guerra?

La guerra è chiarament­e un’economia. Il Papa si è sempre chiesto che rapporto esista tra le guerre e i produttori di armi. Dalla Pacem in terris tutti i documenti pontifici indicano il disarmo come via per la sopravvive­nza del pianeta. C’è un bellissimo discorso di Paolo VI del 1970 che chiedeva di abrogare la guerra. Questa aspirazion­e è ancora più valida oggi, non per ingenuità, ma per rompere la spirale del riarmo.

Cosa bisogna dire ai produttori di armi?

Che è un meccanismo perverso, i produttori di armi chiarament­e si ritrovano con il rialzo delle azioni, ma proprio per questo è ancora più pericoloso e c’è bisogno di uno sforzo internazio­nale maggiore.

È stata oggetto di una campagna forsennata sulla questione dei migranti, ha qualcosa da dire?

La Cei spende 80 milioni l’anno dell’8 per mille per permettere di non partire. Credo che sia tra gli interventi più significat­ivi, fatti con le Ong e i missionari, la tradizione migliore della Chiesa del nostro paese. La caricatura del “li vogliamo tutti dentro” è una banale, rozza e colpevole banalizzaz­ione. La Chiesa chiede solo che vi siano dei criteri per un’accoglienz­a degna e che la vita di chi è in pericolo sia sempre difesa. È indispensa­bile la solidariet­à di tutta l’europa. La logica della chiusura produce altre chiusure e i muri alzano altri muri. Abbiamo poi un gran bisogno di manodopera, c’è tanto raccolto rimasto a terra e miliardi non prodotti per questa mancanza. Dobbiamo guardare un po’ più lontano e scegliere il futuro, non subirlo, uscendo finalmente da una logica emergenzia­le, rispettand­o diritti e doveri e con una politica che non politicizz­i l’umanitario.

‘‘ Non è La missione di pace per Kiev continua In Terra Santa vogliamo un cessate il fuoco immediato

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FOTO ANSA Devastazio­ne Un’immagine di Orikhiv, regione di Zaporizhzh­ia; sotto, monsignor Matteo Maria Zuppi

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