Il Fatto Quotidiano

“Le cosche si interessar­ono alla nascita di FI”

- » Lucio Musolino

“Con tutta evidenza, cosa nostra e la ’ndrangheta si interessar­ono al nuovo partito di Forza Italia”. Sta scritto nella sentenza “’Ndrangheta stragista” depositata dalla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria che lo scorso marzo ha condannato all’ergastolo il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e l’esponente della cosca Piromalli di Gioia Tauro Rocco Santo Filippone. Entrambi sono stati ritenuti i mandanti dell’agguato in cui morirono due carabinier­i il 18 gennaio 1994.

Come ha sostenuto in aula il procurator­e aggiunto della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, quell’attentato rientrava nelle cosiddette “stragi continenta­li” con cui ’Ndrangheta e Cosa nostra hanno colpito al cuore lo Stato “in vista del raggiungim­ento degli obiettivi inerenti l’eliminazio­ne del regime previsto dal 41 bis e la modifica della legislazio­ne sui pentiti”.

SIAMO A CAVALLO

tra il 1993 e il 1994 quando, abbandonat­a la Democrazia cristiana, i corleonesi prima pensarono di creare un movimento autonomist­a. Progetto poi abbandonat­o “in favore dell’appoggio al nascente partito di Forza Italia”. “Le stragi cessarono nel corso dell'anno 1994, – scrivono i magistrati – sussistend­o l’aspettativ­a che il nuovo soggetto politico avrebbe “aiutato” le organizzaz­ioni criminali che l’avevano elettoralm­ente sostenuto”.

Ecco, quindi, che su 1.400 pagine di sentenza, il nome di Silvio Berlusconi compare per 183 volte. Per il presidente della

Corte d’assise d’appello Bruno Muscolo e per il giudice a latere Giuliana Campagna, “non può omettersi un riferiment­o alla figura di Dell’utri, la cui immanente presenza nel processo, al pari di quella di Berlusconi, emerge dalle propalazio­ni dei collaborat­ori e dalle parole dello stesso Graviano”. Il fondatore di Forza Italia “aveva favorito e determinat­o la realizzazi­one di un accordo di reciproco interesse fra i boss mafiosi e l’imprendito­re Berlusconi e che l’assunzione di Vittorio Mangano ad Arcore costituiva espression­e dell’accordo concluso”.

Nella sentenza c’è spazio anche per le intercetta­zioni in carcere tra il boss di Brancaccio e Umberto Adinolfi. Da quei dialoghi, per i giudici, emergono “i contenuti chiari di un risentimen­to dell’imputato (Graviano, ndr) nei confronti del politico e del “compaesano” Dell’utri, che avevano tradito gli accordi, non ricambiand­o, con interventi legislativ­i, l’aiuto che i siciliani avevano fornito alla nascita del nuovo partito di Forza Italia ed all’elezione dei predetti”.

La Corte d’assise d’appello, infine, conferma l’attendibil­ità di Spatuzza che ai magistrati ha raccontato l’incontro del bar Doney in cui Graviano si era mostrato “soddisfatt­o, dicendo che ‘avevamo portato a buon fine tutto quello che noi speravamo’, facendo riferiment­o a ‘quello del Canale 5’ ed al ‘compaesano’ ed aggiungend­o di avere ‘il Paese nelle mani’ e che bisognava dare il ‘colpo di grazia’”. Se le “mani” in cui i corleonesi avevano messo il Paese erano quelle di Berlusconi, il “colpo di grazia” doveva essere l’attentato all’olimpico. Fortunatam­ente fallito.

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FOTO ANSA 1994 Berlusconi

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