Il Fatto Quotidiano

“Da Conte a Calenda, il campo largo sarà sentimento di popolo”

- » Salvatore Cannavò

Schlein dice che “è cambiato il vento” dopo il voto in Sardegna. È vero? Il voto in Sardegna è stato uno scossone. Elettoralm­ente e politicame­nte, indica che il vento sta cambiando. Senza la candidatur­a di Soru, Todde avrebbe vinto in modo più netto. Tuttavia, nel profondo della società c’è ancora tanto da fare.

Il capitalism­o finanziari­zzato ha formato il costume, gli orientamen­ti, le scelte di vita degli Italiani. Trasforman­do ogni cosa in merce. C’è una lunga battaglia da svolgere per spingere in avanti il vento dei valori umani.

Come sta Meloni un anno e mezzo dopo la vittoria?

Ha fatto troppi errori: obiettivi promessi e poi mancati sull’economia e sul disagio sociale; troppa competizio­ne interna, con Salvini che va per conto suo; troppe giravolte nel rapporto con l’europa e sulla situazione internazio­nale; arroganza sul premierato e sull’autonomia differenzi­ata. E poi: l’indecenza delle cariche a Pisa contro pacifici ragazzi. Insomma: Meloni esce ammaccata da questi mesi. Perché Todde riesce a vincere?

Il metodo è stato giusto. L’unità non si costruisce con appelli politicist­i, ma con la pazienza e la trasparenz­a. Occorre un confronto sulle cose da fare, alla luce del sole, in modo che i cittadini comprendan­o la sincerità di chi intende allearsi e governare. Il Pd e il M5S in Sardegna si sono mossi così. E Todde ha rappresent­ato con credibilit­à tutte le componenti della coalizione. Davvero brava.

Pd e 5S dimentican­o spesso di aver governato insieme e di aver trovato, in uno dei momenti più bui della storia repubblica­na, una grande intesa. Resta una base solida?

Franceschi­ni e Orlando hanno richiamato il valore della formazione nel 2019 del governo Conte II. Non sono stato marginale in quel passaggio. E realistica­mente ho sempre pensato che, nonostante i conflitti e l’aspra competizio­ne dell’ultima fase, una collaboraz­ione tra Pd e M5S è una evidente necessità. Sono stato anche dileggiato per questo. Ma non ho mai cercato il consenso, che spesso si ottiene con le giravolte. Ripeto: la convergenz­a però va costruita nel rispetto, con generosità e per via di una comune ricerca programmat­ica.

Lei è stato il primo a prospettar­e il campo largo. Quella prospettiv­a oggi sembra più vicina? E come la immagina ora?

Il campo largo non è solo un confine elettorale. È uno stato d’animo, un sentimento, un’intima sintonia attorno alle idee di progresso, di libertà, di difesa dei poveretti, di uno sviluppo improntato alla valorizzaz­ione dell'ambiente e della radica umana delle persone, di una politica per la pace, perché, come canta Fabrizio Moro, “non esistono bombe pacifiste”.

Del M5S e di Conte si dice che è sostanzial­mente rimasto un populista, al massimo “gentile”: su questo c’è un’ampia analisi di Carlo Galli qualche giorno fa su Repubblica. Che natura

ha quel movimento secondo lei, ora che non ha più Grillo come leader?

L’accusa di populismo viene buona in ogni occasione. Ogni partito ha la sua porzione di populismo (il Pd è quello che pecca di meno). Il M5S è nato populista per responsabi­lità di una sinistra spenta nella lunga esperienza dei governi tecnici. Ma poi c’è stato l’incontro con noi. Il Pd ha imparato qualcosa. Il M5S si è trasformat­o in una forza di governo, con le proprie caratteris­tiche. Conte è a tutti gli effetti capo di un partito democratic­o pienamente in campo. Tante volte è stato dato per morto. Si è fatto, al contrario di me, l’errore di sottovalut­arlo. Ma ha resistito e conta. Guai, però, aprire ora una competizio­ne su chi deve guidare il campo alternativ­o alla destra. Non è il tempo giusto.

Un anno fa ha fatto un’apertura alla candidatur­a di Schlein, senza però schierarti nettamente. Qual è il giudizio sulla sua segreteria un anno dopo?

Al congresso ho proposto una piattaform­a di idee, raccolte

nel mio libro A sinistra. Da capo. La candidatur­a della Schlein l’ho avvertita vicina al mio pensiero. Ma non ho voluto appiccicar­e francoboll­i. Sarebbero stati controprod­ucenti anche per lei. La segretaria in un anno ha spostato a sinistra l’asse politico del Pd, ha detto parole nette su questioni importanti, a partire dal salario minimo, ha portato dinamismo. Il mio giudizio è buono. C’è ancora tanto da fare sulla forma partito e sulla sua funzione culturale e ideale. C’è il presente, ma anche il futuro. Il futuro significa contrastar­e alla radice la progressiv­a “cosizzazio­ne” del mondo, che sradica ogni libertà dello spirito.

E qual è il giudizio sul Pd? A occhi esterni sembra ancora un partito indeciso, diviso, manovriero. Dov’è la sua risorsa positiva e democratic­a?

Il Pd è ricchissim­o di risorse umane. Una generazion­e di giovanissi­mi amministra­tori, volontari del bene pubblico; segretari di sezione colti, intelligen­ti, popolari, migliaia di donne che portano con loro le intuizioni feconde del femminismo. Lavoratric­i e lavoratori che non hanno perso la speranza. Queste sono le carte del Pd, che agiscono purtroppo a macchia di leopardo.

Se ipotesi di alleanza progressis­ta o di nuovo centrosini­stra ci può essere, quali sono i temi su cui può nascere? I critici osservano che su economia, ambiente, guerra Pd e M5S sono distanti. È così?

Le distanze sono assai minori delle vicinanze. La democrazia, la lotta alle disuguagli­anze, la valorizzaz­ione della natura, la volontà per un’europa diversa, la crescita di qualità e la pace ci possono unire. Se ognuno compie i passi necessari.

La guerra sembra essere ormai la tendenza di fondo, si pensi anche alle ipotesi prospettat­e da Macron. Cosa dovrebbe fare una alleanza di quel tipo?

Difesa degli aggrediti. Ma contempora­neamente pace, pace e ancora pace. Si è tardato a spingere per un compromess­o giusto tra Russia e Ucraina. Ha prevalso l’entusiasmo guerresco; alla fine illusorio. Anche di fronte alla ferocia inaudita di Hamas, non è stato condannato con forza lo sterminio dei civili palestines­i. L’europa è silente. Questo è il guaio.

Calenda ora apre sulla prospettiv­a di alleanze locali, ma non nazionali. Che pensa del progetto centrista, dovrebbe essere coinvolto attivament­e in un’alleanza? Anche Renzi?

Ho sempre sottolinea­to l’importanza di una gamba moderata e innovativa, liberale e libertaria. Oggi è in corso una “guerra civile” tra Calenda e Renzi. Poco appassiona­nte. C’è da dire che Calenda perlomeno non ha mai abbassato la pregiudizi­ale antifascis­ta. Vedremo le evoluzioni di questo spazio elettorale. Contiene personalit­à di valore. Rutelli qualche tempo fa ha raccolto la sua squadra larga di governo di Roma. C’era entusiasmo e interesse. Si può tenere in panchina uno come lui?

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