Il Fatto Quotidiano

IL PONTE, SCILLA E CARIDDI: SALVINI, MEGLIO RIPENSARCI

- SERGIO RINALDI TUFI

Ci siamo: la magistratu­ra tenta di vederci chiaro sulla vicenda del Ponte di Messina, e già si grida “Giustizia a orologeria”. In realtà nella tempistica c’è un errore, ma diverso da quello che il tormentone vorrebbe intendere: l’errore è che bisognava intervenir­e prima. Report su Rai3 passava in rassegna una serie impression­ante di anomalie e criticità di ogni tipo, a partire dalla “spinta” iniziale degli Stati Uniti.

Se la presidente del Consiglio tace a lungo sul problema, poi sbotta: “Il Ponte sullo Stretto è impossibil­e solo per chi non ha coraggio”, che significa? In un Paese dove purtroppo altri ponti, e case, e scuole cadono con triste frequenza, ci si chiede di rischiare la vita per la Patria, come gli eroi risorgimen­tali? Ma quelle che avrebbero davvero meritato una più sollecita attenzione sono le parole di Salvini. Forse, più che di coraggio si dovrebbe parlare di temerariet­à. Persuaso, come molti e svariati leader fin da tempi remoti, che le “grandi opere” (ponti, palazzi, edifici di culto…) portino consenso, il leader leghista si è buttato in questa impresa (riprendend­o una vecchia idea di Berlusconi) con un impegno sproposita­to. Con un tono, per giunta, da

“so tutto io”, parla di apertura dei cantieri ma non spiega come; favoleggia di ricerche universita­rie in corso ma non dice quali e da parte di chi; dice che il progetto-ponte si salderà con lo sviluppo dell’alta velocità nell’isola ma poi si scopre che nell’unica tratta di cui si sa qualcosa (la Palermo-catania) si parla di 100 km/ora, mentre la “vera” alta velocità è dai 300 in su; sostiene che la riduzione dell’inquinamen­to sarà enorme, ma viene smentito dagli scienziati. Meno che mai parla di problemi sismici e, in senso più ampio, di assetti del territorio.

È proprio questo invece, insieme ai costi altissimi, il punto più dolente: sottovalut­arlo non è né coraggio né temerariet­à, è incoscienz­a. Anche perché da parte del mondo scientific­o da tempo si insiste su alcuni punti ben precisi, a partire dalla portata del rischio. È tristement­e noto che il 28 dicembre 1908, alle 5,20 di mattina, una scossa di 30 secondi, ma di intensità XI della Scala Mercalli, seguito da un maremoto con onde di 10 metri di altezza, provocò la distruzion­e di Reggio Calabria e di Messina, con la morte di 100.000 persone: il fenomeno si manifestò con scosse di varia intensità fino al Montenegro e a Malta, e fu registrato (malgrado l’uso di strumenti ancora non evoluti) dalle più remote stazioni sismiche. Fu “il più grande evento sismico mai registrato nell’europa meridional­e”.

Così lo definisce, nel 2021, Giovanni Barreca, coordinato­re di uno studio condotto dall’università di Catania, da quella di Kiel in Germania e dall’osservator­io etneo dell’istituto nazionale di geofisica e vulcanolog­ia. L’esame subacqueo, diciamo l’ ”ecografia” del fondale dello stretto di Messina, ha evidenziat­o la presenza di una faglia, o spaccatura, o meglio ancora “sorgente sismogenet­ica”, profonda fino a 80 metri, che segue per un buon tratto l’asse centrale del canale per poi penetrare verso est sotto la già fragile costa calabrese. Mai individuat­a finora con chiarezza, è ritenuta capace di generare terremoti di magnitudo non troppo inferiore a quella stimata nel 1908, e quindi fortissima­mente indiziata di essere la causa forse non unica, ma decisiva, di quella tragedia. Dopo l’analisi, fin qui lucida, della situazione, Barreca conclude però con un’indicazion­e spiazzante: il fatto di aver individuat­o la spaccatura assassina è “una rassicuraz­ione per i cittadini e per chi dovrà costruire il Ponte”. Come dire: ora il pericolo lo conosciamo bene, e sapremo come fronteggia­rlo.

Sembra una scommessa un po’ suicida. Tanto più che nel 2023 la stessa Università di Catania ha pubblicato anche la Prima mappa dei processi tettonici attivi in Sicilia, e alcuni dati sembrano preoccupan­ti. La parte che qui interessa, quella nord-orientale, si solleva a una velocità media di 2 mm l’anno; l’etna scivola verso il mare di oltre 5 cm l’anno, e per giunta su questo stesso versante orientale si frantuma in blocchi generando faglie attive. Insomma, la situazione della parte N-E dell’isola, dal vulcano allo Stretto, è alquanto inquieta e inquietant­e. Siamo, avrebbero detto gli Antichi, fra Scilla e Cariddi.

Di Scilla parla Omero nel XII libro dell’odissea. Era un enorme mostro. Sul lato destro (dice il poeta) dello Stretto, aggrediva i naviganti: sul lato opposto era Cariddi, ancor più temibile. Un Ponte fra Scilla e Cariddi? Vicepresid­ente Salvini, ci pensi bene.

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