IL PONTE, SCILLA E CARIDDI: SALVINI, MEGLIO RIPENSARCI
Ci siamo: la magistratura tenta di vederci chiaro sulla vicenda del Ponte di Messina, e già si grida “Giustizia a orologeria”. In realtà nella tempistica c’è un errore, ma diverso da quello che il tormentone vorrebbe intendere: l’errore è che bisognava intervenire prima. Report su Rai3 passava in rassegna una serie impressionante di anomalie e criticità di ogni tipo, a partire dalla “spinta” iniziale degli Stati Uniti.
Se la presidente del Consiglio tace a lungo sul problema, poi sbotta: “Il Ponte sullo Stretto è impossibile solo per chi non ha coraggio”, che significa? In un Paese dove purtroppo altri ponti, e case, e scuole cadono con triste frequenza, ci si chiede di rischiare la vita per la Patria, come gli eroi risorgimentali? Ma quelle che avrebbero davvero meritato una più sollecita attenzione sono le parole di Salvini. Forse, più che di coraggio si dovrebbe parlare di temerarietà. Persuaso, come molti e svariati leader fin da tempi remoti, che le “grandi opere” (ponti, palazzi, edifici di culto…) portino consenso, il leader leghista si è buttato in questa impresa (riprendendo una vecchia idea di Berlusconi) con un impegno spropositato. Con un tono, per giunta, da
“so tutto io”, parla di apertura dei cantieri ma non spiega come; favoleggia di ricerche universitarie in corso ma non dice quali e da parte di chi; dice che il progetto-ponte si salderà con lo sviluppo dell’alta velocità nell’isola ma poi si scopre che nell’unica tratta di cui si sa qualcosa (la Palermo-catania) si parla di 100 km/ora, mentre la “vera” alta velocità è dai 300 in su; sostiene che la riduzione dell’inquinamento sarà enorme, ma viene smentito dagli scienziati. Meno che mai parla di problemi sismici e, in senso più ampio, di assetti del territorio.
È proprio questo invece, insieme ai costi altissimi, il punto più dolente: sottovalutarlo non è né coraggio né temerarietà, è incoscienza. Anche perché da parte del mondo scientifico da tempo si insiste su alcuni punti ben precisi, a partire dalla portata del rischio. È tristemente noto che il 28 dicembre 1908, alle 5,20 di mattina, una scossa di 30 secondi, ma di intensità XI della Scala Mercalli, seguito da un maremoto con onde di 10 metri di altezza, provocò la distruzione di Reggio Calabria e di Messina, con la morte di 100.000 persone: il fenomeno si manifestò con scosse di varia intensità fino al Montenegro e a Malta, e fu registrato (malgrado l’uso di strumenti ancora non evoluti) dalle più remote stazioni sismiche. Fu “il più grande evento sismico mai registrato nell’europa meridionale”.
Così lo definisce, nel 2021, Giovanni Barreca, coordinatore di uno studio condotto dall’università di Catania, da quella di Kiel in Germania e dall’osservatorio etneo dell’istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. L’esame subacqueo, diciamo l’ ”ecografia” del fondale dello stretto di Messina, ha evidenziato la presenza di una faglia, o spaccatura, o meglio ancora “sorgente sismogenetica”, profonda fino a 80 metri, che segue per un buon tratto l’asse centrale del canale per poi penetrare verso est sotto la già fragile costa calabrese. Mai individuata finora con chiarezza, è ritenuta capace di generare terremoti di magnitudo non troppo inferiore a quella stimata nel 1908, e quindi fortissimamente indiziata di essere la causa forse non unica, ma decisiva, di quella tragedia. Dopo l’analisi, fin qui lucida, della situazione, Barreca conclude però con un’indicazione spiazzante: il fatto di aver individuato la spaccatura assassina è “una rassicurazione per i cittadini e per chi dovrà costruire il Ponte”. Come dire: ora il pericolo lo conosciamo bene, e sapremo come fronteggiarlo.
Sembra una scommessa un po’ suicida. Tanto più che nel 2023 la stessa Università di Catania ha pubblicato anche la Prima mappa dei processi tettonici attivi in Sicilia, e alcuni dati sembrano preoccupanti. La parte che qui interessa, quella nord-orientale, si solleva a una velocità media di 2 mm l’anno; l’etna scivola verso il mare di oltre 5 cm l’anno, e per giunta su questo stesso versante orientale si frantuma in blocchi generando faglie attive. Insomma, la situazione della parte N-E dell’isola, dal vulcano allo Stretto, è alquanto inquieta e inquietante. Siamo, avrebbero detto gli Antichi, fra Scilla e Cariddi.
Di Scilla parla Omero nel XII libro dell’odissea. Era un enorme mostro. Sul lato destro (dice il poeta) dello Stretto, aggrediva i naviganti: sul lato opposto era Cariddi, ancor più temibile. Un Ponte fra Scilla e Cariddi? Vicepresidente Salvini, ci pensi bene.