Un ordinario straordinario: così Parigi batte Milano 1 a 0
Passerelle a confronto Le sfilate nella Ville Lumière hanno dimostrato come la leggerezza d’oltralpe batte la concretezza meneghina
FObiettivo supericchi La posta in palio delle griffes è il 2% di clienti della moda che fa il 40% degli acquisti di lusso
rancia-italia 1 a 0. Non è una previsione sul risultato di una delle partite dei prossimi Europei, quanto piuttosto l’estrema sintesi del bilancio delle ultime Fashion Week di Milano e Parigi. Se sulle passerelle meneghine abbiamo visto una moda cupa e rigorosa, con diversi stilisti che hanno ammesso la difficoltà di creare vestiti in questo periodo storico dominato dalle guerre e dalle notizie di cronaca nera; nella Ville Lumière la scintilla della creatività non si è mai esaurita e i brand sono riusciti ancora una volta a rendere straordinario l’ordinario. La fatica e il peso dei tempi che viviamo vs il glamour di un’élite impermeabile alle vicende del mondo. Milano, città sempre concreta nel suo approccio alla moda, ha costruito la sua reputazione su questo pilastro. E lo stesso ha fatto Parigi sull’altro fronte. Tuttavia, assuefatti dalla globalizzazione dei gusti e intontiti dalle migliaia di immagini che ogni giorno i social sparano davanti ai nostri occhi, ecco che finiamo per percepire come monotona e noiosa la moda milanese, mentre i bagliori di quella parigina ci attraggono perché funge da via di fuga verso un mondo diverso da quello che ci circonda.
D’altra parte, nella capitale francese si gioca il “derby del lusso”, per usare un’altra metafora calcistica, ovvero la sfida a suon di incassi tra i gruppi Lvmh e Kering. Il primo, con un fatturato 2023 di 86,2 miliardi di euro, ha schierato in campo Dior, Givenchy, Loewe e Louis Vuitton; il secondo – dopo aver già presentato Gucci e Bottega Veneta a Milano – risponde con Saint Laurent, Alexander Mcqueen (dove debutta il nuovo direttore creativo Seán Mcgirr) e Balenciaga. La posta in palio? Quel 2% di clienti della moda che fa il 40% degli acquisti di lusso (dati Bain & Company sul 2022, ndr). Conquistare e fidelizzare questi “clienti molto importanti” è l’obiettivo chiave delle griffes: per raggiungerlo aumentano periodicamente i prezzi e fanno leva su campagne di comunicazione che vendono “il sogno” e alimentano il desiderio di esclusività dei ricconi viziati.
COSÌ, TUTTE LE CELEBRITY
e le star di Hollywood che non abbiamo visto a Milano le troviamo a Parigi, a sfoggiare (e postare sui social) look che poi sfilano in passerella. Sopravvive ancora qui qualche influencer, impegnato ad immortalarsi da ogni possibile angolatura nelle location da sogno che i brand si contendono per i loro défilé. Ma soprattutto le sfilate pullulano di ospiti arrivati dal Medio Oriente, dall’asia e dagli Usa: sono loro i veri “big spender”, quelli che corrono nelle boutique del centro ad acquistare gli abiti da sfoggiare all’evento. Ed è a loro che guardano le collezioni viste in passerella, un tripudio di colori (alla faccia del grigiore milanese), forme e dettagli preziosi. Il primo marchio a sfilare, come vuole la tradizione, è stato Dior: la direttrice creativa Maria Grazia Chiuri – “macchina da soldi” blindatissima dal Ceo di Lvmh Bernard Arnault – ha proseguito nel solco di tramandare i capisaldi sartoriali della Maison, con guizzi come i total look maculati o i capi con la scritta cubitale “Miss Dior”. Il suo sfidante, Anthony Vaccarello, ha fatto lo stesso da Saint Laurent, mandando in pedana una collezione ispirata al nude look di Yves, con capi trasparenti di chiffon per una sensualità raffinata e rarefatta. Si è spinto oltre Courrèges, con le modelle che sfilavano tenendo una mano nella tasca frontale presente su abiti e gonne, chiaro inno al piacere femminile. Da Chloé l’abbraccio finale tra la neo-direttrice creativa Chemena Kamali e suo figlio ha rubato la scena a una collezione meritevole e interessante, che ha riportato in auge il frizzante stile boho-chic alle origini del brand. Giochi di colori, mix di fantasie e sperimentazioni di materiali da Dries Van Noten e Balmain, con quest’ultimo che finalmente è riuscito a smarcarsi dalla retorica stantia dello streetwear fatto di felpone e tute con maxi logo in vista per proporre una collezione veramente originale e creativa.
Daniel Rosberry si è confermato poi uno dei designer più talentuosi sulla scena: dopo la donna-alieno dell’alta Moda, per il prêt-à-porter FW24 di Schiaparelli ha presentato una serie di completi sartoriali con trecce di capelli al posto della cravatta. La sua soddisfazione più grande? Quando chiedono alle sue clienti “Scusi... dove ha preso quel pezzo?”. Attendiamo con ansia il gran finale di Fashion Week con Valentino, Balenciaga, Miu Miu e la combo Chanel-louis Vuitton.