È l’estratto conto che sa raccontare la gente, non l’arte
Melissa, voce narrante, incontra Clara T. “quando non era più lei”. Chiunque la ricordasse protagonista della pellicola erotica che la lanciò nell’orbita del successo, tanto che poi registi come Polanski la scritturarono, “ne conservava un ricordo che non aveva tenuto conto del tempo che su di lei si era posato come una polvere”. S’imbatte in Clara per caso, a Roma, in un frangente surreale, e la sensazione che sia una donna spezzata è immediata. Si ritrova faccia a faccia con l’attrice che quindici anni prima era stata lei nel film tratto dal suo romanzo best-seller (il riferimento a Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire, esordio di una Panarello diciassettenne, al tempo Melissa P., è palese, ma non è questo il punto...). “Eravamo entrambe giovanissime... Sui giornali, in televisione, alla radio, tutte le volte che parlavano di me dovevano per forza citare anche lei, e viceversa”. Sono diverse, ma ad accomunarle è la notorietà fulminante, critiche e offese (“puttana!”), il rischio della sovrapposizione tra persona e personaggio, restare cristallizzate in un ruolo, essere sfruttate, usate.
Che cos’è successo alle due negli ultimi tre lustri? Ne La storia dei miei soldi, romanzo ora proposto da Nadia Terranova al Premio Strega, alcuni dettagli riferiti all’una paiono appartenere all’altra, in un continuo gioco di specchi, tra “possibile” realtà e finzione. Clara, da sempre chiusa e riservata, decide di affidare a Melissa, attraverso lunghe conversazioni registrate su un cellulare, la sua tormentata storia. Forse per lasciare il proprio testamento in un mondo “che non ospitava nessuno che le fosse amico”. Emerge una riflessione profonda su come soldi e successo possano cambiare destini, traiettorie, frantumare (o no) vite, su quanto sia arduo gestire la celebrità, e quanta solitudine può patire chi è stato prima osannato e poi infangato, dimenticato.
SE SEI DONNA tutto si fa più difficile. Dopo il boom mediatico in seguito al suo esordio, Melissa ha pubblicato altri libri, ha fondato un’agenzia letteraria, ha costruito una famiglia, è diventata madre, si è con fatica riappropriata del suo cognome che non è solo una P. puntata – l’esergo è non a caso un verso di Nina Simone, “But they’ll never know the pain of living with a name you never owned” – preferendo il dietro le quinte alla sovraesposizione.
A Clara è andata diversamente. “Di fianco a me”, dice Melissa, “la sentivo piena di ossa e corazzata come un cavaliere medievale, una Giovanna d’arco verso il patibolo, avrebbe lei stessa accatastato rametti e legna nel proprio rogo e gli avrebbe dato fuoco”. Anni dopo la sua rapida ascesa, e la valanga di soldi annessi, ad attendere Clara c’è il vuoto. Professionale, economico, emotivo. Non sono le opere d’arte a raccontare la gente, ma gli estratti conto, dice. “È così che conosci le persone, da cosa scappano e da cosa si sono fatte sedurre...”. I soldi creano imbarazzo, che se ne abbiano tanti o pochi, sono “la vergogna massima”, il tabù più grande del mondo, soprattutto se a maneggiarli sono le donne. Altro che il sesso... “Ero destinata ai soldi, non all’amore”, dice Clara. L’amore, territorio per lei da sempre minato. Non tutti riescono a salvarsi dalla disperazione e capita che ogni cosa conduca lontano dal luogo in cui si desidererebbe stare.
Panarello e la storia dolente di Clara T., attrice “sexy”