MANGANELLI E ZONE ROSSE: I DIRITTI STANNO MORENDO
Il dibattito pubblico italiano è sfilacciato, venato continuamente dalle note del sentimentalismo kitsch e del sensazionalismo. Prendiamo la vicenda delle cariche della polizia a Pisa e a Firenze: dilagano giaculatorie sul ritorno del fascismo, sull’italia che sta diventando un Paese “di serie B”, etc. Manganellare studenti inermi è una cosa orribile e questo governo che si compiace della repressione violenta e “sta” con la polizia “senza se e senza ma” è esecrabile e mostra la sua mai rinnegata ghigna. Ma il punto è la strisciante “emergenzializzazione” o “eccezionalizzazione” di ogni spazio pubblico, fisico o virtuale, di cui certo questa vicenda rappresenta un’accelerazione e uno sfondamento preoccupante.
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da discutere di queste due strade: c’è chi sostiene che l’emergenza sia tutta dentro l’ordinamento giuridico (quindi legittima) e l’eccezione sia fuori dal diritto, anzi sovvertitrice del diritto e produttrice di nuovo diritto e di nuovo ordine. Ma quest’ultima eccezione, quella a cui pensava il giurista tedesco Carl Schmitt, non esiste più: ciò a cui assistiamo è l’estensione di una gestione eccezionale autorizzata e permessa (ex post) dal diritto stesso. Viviamo nella costante e generalmente inavvertita estensione di “zone rosse” nelle quali confinare il dissenso o semplicemente la libera manifestazione del pensiero. Le manganellate di Piantedosi sono illegali e la compressione dello spazio pubblico di Meloni è autoritaria. Ma il diritto sta da anni perdendo la funzione che ci eravamo illusi potesse avere quando abbiamo pensato che esso non era solo, marxianamente, strumento di oppressione di una classe sull’altra ma anche strumento di liberazione. Non solo dunque in mano a un potere estraneo che ci sovrasta, ma contendibile da chi volesse democraticamente usarlo per cambiare le cose. Quell’ottimismo che faceva dire queste cose a Norberto Bobbio è forse da dismettere? Il diritto è tornato a essere non strumento di lotta all’oppressione ma strumento dell’oppressione?
Se volessi anch’io cercare il titolo d’effetto direi che viviamo da qualche tempo in una sorta di esteso e continuo stato di legge marziale, ma le cose non stanno così: viviamo invece in uno stato di progressiva normalizzazione dell’emergenza per via del diritto stesso. Nessuna oppressione di un potere tirannico, ma l’abdicazione dei poteri democratici alla loro stessa democraticità. In altri termini, il Parlamento, luogo per eccellenza della decisione, si auto-esonera e diventa sede di ratifica di scelte fatte prima e altrove. Il potere esecutivo viene investito della funzione legislativa ed esecutiva al contempo, quando a governare non sono addirittura corpi sottoposti al governo stesso. Tutto questo produce un ribaltamento eversivo delle fonti del diritto, un’amministrativizzazione che si insinua nelle maglie dell’ordinamento costituzionale in nome dell’emergenza, per far fronte all’“evento”, di cui queste sono declinazioni parossistiche.
Basti ricordare le leggi che regolano la protezione civile, oppure la gestione dei fenomeni migratori e le forme di compressione della libertà dei migranti, o appunto la gestione dell’ordine pubblico. Se anche il questore di Pisa avesse dichiarato – e non pare sia andata così – Piazza dei Cavalieri “zona interdetta”, quale ne sarebbe stata la ragione? Il giurista Adrian Vermeule della Harvard Law School ha sostenuto che il diritto amministrativo (statunitense, ma difficile limitarsi a quello) è caratterizzato da buchi neri e grigi: clausole generali, fenditure nell’ordinamento che entro certi limiti sono necessarie per consentire l’intervento su fatti imprevisti. Ma in ambito giuridico black hole, buco nero, è espressione coniata da un giudice inglese per definire Guantanamo, la madre dell’eccezionalismo. Ecco, il diritto sta diventando questo grande buco nero che inghiotte la Costituzione?