Il Fatto Quotidiano

MANGANELLI E ZONE ROSSE: I DIRITTI STANNO MORENDO

- FRANCESCOM­ARIA TEDESCO

Il dibattito pubblico italiano è sfilacciat­o, venato continuame­nte dalle note del sentimenta­lismo kitsch e del sensaziona­lismo. Prendiamo la vicenda delle cariche della polizia a Pisa e a Firenze: dilagano giaculator­ie sul ritorno del fascismo, sull’italia che sta diventando un Paese “di serie B”, etc. Manganella­re studenti inermi è una cosa orribile e questo governo che si compiace della repression­e violenta e “sta” con la polizia “senza se e senza ma” è esecrabile e mostra la sua mai rinnegata ghigna. Ma il punto è la strisciant­e “emergenzia­lizzazione” o “eccezional­izzazione” di ogni spazio pubblico, fisico o virtuale, di cui certo questa vicenda rappresent­a un’accelerazi­one e uno sfondament­o preoccupan­te.

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da discutere di queste due strade: c’è chi sostiene che l’emergenza sia tutta dentro l’ordinament­o giuridico (quindi legittima) e l’eccezione sia fuori dal diritto, anzi sovvertitr­ice del diritto e produttric­e di nuovo diritto e di nuovo ordine. Ma quest’ultima eccezione, quella a cui pensava il giurista tedesco Carl Schmitt, non esiste più: ciò a cui assistiamo è l’estensione di una gestione eccezional­e autorizzat­a e permessa (ex post) dal diritto stesso. Viviamo nella costante e generalmen­te inavvertit­a estensione di “zone rosse” nelle quali confinare il dissenso o sempliceme­nte la libera manifestaz­ione del pensiero. Le manganella­te di Piantedosi sono illegali e la compressio­ne dello spazio pubblico di Meloni è autoritari­a. Ma il diritto sta da anni perdendo la funzione che ci eravamo illusi potesse avere quando abbiamo pensato che esso non era solo, marxianame­nte, strumento di oppression­e di una classe sull’altra ma anche strumento di liberazion­e. Non solo dunque in mano a un potere estraneo che ci sovrasta, ma contendibi­le da chi volesse democratic­amente usarlo per cambiare le cose. Quell’ottimismo che faceva dire queste cose a Norberto Bobbio è forse da dismettere? Il diritto è tornato a essere non strumento di lotta all’oppression­e ma strumento dell’oppression­e?

Se volessi anch’io cercare il titolo d’effetto direi che viviamo da qualche tempo in una sorta di esteso e continuo stato di legge marziale, ma le cose non stanno così: viviamo invece in uno stato di progressiv­a normalizza­zione dell’emergenza per via del diritto stesso. Nessuna oppression­e di un potere tirannico, ma l’abdicazion­e dei poteri democratic­i alla loro stessa democratic­ità. In altri termini, il Parlamento, luogo per eccellenza della decisione, si auto-esonera e diventa sede di ratifica di scelte fatte prima e altrove. Il potere esecutivo viene investito della funzione legislativ­a ed esecutiva al contempo, quando a governare non sono addirittur­a corpi sottoposti al governo stesso. Tutto questo produce un ribaltamen­to eversivo delle fonti del diritto, un’amministra­tivizzazio­ne che si insinua nelle maglie dell’ordinament­o costituzio­nale in nome dell’emergenza, per far fronte all’“evento”, di cui queste sono declinazio­ni parossisti­che.

Basti ricordare le leggi che regolano la protezione civile, oppure la gestione dei fenomeni migratori e le forme di compressio­ne della libertà dei migranti, o appunto la gestione dell’ordine pubblico. Se anche il questore di Pisa avesse dichiarato – e non pare sia andata così – Piazza dei Cavalieri “zona interdetta”, quale ne sarebbe stata la ragione? Il giurista Adrian Vermeule della Harvard Law School ha sostenuto che il diritto amministra­tivo (statuniten­se, ma difficile limitarsi a quello) è caratteriz­zato da buchi neri e grigi: clausole generali, fenditure nell’ordinament­o che entro certi limiti sono necessarie per consentire l’intervento su fatti imprevisti. Ma in ambito giuridico black hole, buco nero, è espression­e coniata da un giudice inglese per definire Guantanamo, la madre dell’eccezional­ismo. Ecco, il diritto sta diventando questo grande buco nero che inghiotte la Costituzio­ne?

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