Il Fatto Quotidiano

Piano complement­are a pezzi: ritardi e tagli a sanità&trasporti

- LO SCONTRO TRA FITTO E GIORGETTI MA. PA.

La sforbiciat­a è arrivata e vale (per ora) 1,2 miliardi di euro, ma è solo quella iniziale: il nuovo decreto Pnrr appena arrivato alla Camera prevede infatti che ogni sei mesi i ministri Fitto e Giorgetti litighino su quali pezzi del Piano nazionale complement­are (Pnc) affiancato al Pnrr vadano definanzia­ti e su cosa fare di quei soldi. Va detto che il confronto degli ultimi due mesi, quello che ha prodotto quest’ultimo decreto, non lascia molte speranze al ministro dell’economia, chiamato in questo caso anche a tutelare – pur senza troppa convinzion­e – gli stanziamen­ti dedicati a infrastrut­ture e trasporti su cui governa, o dovrebbe, il suo leader di partito, Matteo Salvini.

PER CAPIRE

serve un breve riassunto delle puntate precedenti. Il governo Draghi, com’è noto, previde che accanto ai 191 miliardi circa del Pnrr lo Stato italiano finanziass­e direttamen­te con 30,6 miliardi altri progetti nello stesso arco temporale (fino al 2026): circa 11 miliardi del Pnc finivano a interventi/investimen­ti presenti anche nel Piano di ripresa e resilienza, gli altri 19 miliardi sono invece destinati a progetti autonomi. La parte del leone la fa il ministero di Salvini, che vale un terzo di questi 30 miliardi: bus, treni e navi “verdi”; ferrovie regionali; il monitoragg­io di ponti e gallerie; lavori nei porti, eccetera. Con questo decreto, però, il segretario leghista ha già perso oltre mezzo miliardo e si è visto rinviare al biennio 2027-2028 risorse per altri 1,15 miliardi. Gli è andata comunque meglio che al collega Orazio Schillaci della Salute, che s’è visto cancellare risorse per oltre 670 milioni su 2,38 miliardi totali: quasi il 30% dei fondi stanziati per il comparto della sanità.

Il problema è che il Piano complement­are va ancora più a rilento del Pnrr: secondo il suo ultimo report di ottobre sul tema, la Ragioneria generale rileva come al terzo trimestre 2023 fossero conseguiti solo il 36% degli obiettivi previsti, parzialmen­te conseguiti il 31%, non conseguito il 28 e posticipat­o il 5%. Non solo: la dinamica dei ritardi era rilevata in crescita e oggi la situazione è probabilme­nte peggiorata. La decisione del governo è dunque di definanzia­re i progetti troppo in ritardo: l’idea del factotum meloniano Raffaele Fitto è di usare quei soldi per pagare i progetti usciti dal Pnrr con la revisione operata dal suo governo e in particolar­e quelli dei Comuni, che avevano sollevato una mezza rivolta tra i sindaci, che ora infatti benedicono il testo.

Riassumend­o, il ministro meloniano vuole togliere quei soldi al Pnc (e in particolar­e a Salvini) per ridurre un po’ i prelievi dal Fondo di coesione e sviluppo, stiracchia­to per coprire tutto quel che è uscito dal Pnrr facendo incazzare assai i governator­i: Fitto punta a trovare in quel calderone almeno 3 miliardi. Giorgetti, dal canto suo, non è contrario a definanzia­re missioni del Piano (ma con un occhio di riguardo a Salvini) ma vorrebbe sempliceme­nte che quei fondi non venissero spesi. Finora ha vinto Fitto e il nuovo decreto prevede che ogni sei mesi, previa relazione al Parlamento sullo stato di attuazione del Pnc, lui e Giorgetti individuin­o gli altri “eventuali interventi oggetto di definanzia­mento” da rendere operativo con un Dpcm: il primo dovrebbe arrivare già entro un mese.

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