Il Fatto Quotidiano

L’EURO-PACCO DI MELONI AVVANTAGGI­A GENTILONI?

- IVO CAIZZI

Nelle elezioni europee di giugno, la premier Giorgia Meloni e i suoi vice, Matteo Salvini e Antonio Tajani, dovrebbero scontare i pesanti errori commessi in Europa, che hanno aperto seri dubbi sulla capacità del governo di gestire le politiche Ue. Emblematic­o è il maldestro uso della strategia del “pacchetto”, che ha legato i negoziati di importanti eurodossie­r economici e finanziari provocando effetti rovinosi nel complesso e nelle singole trattative. Queste – mal condotte anche dal ministro leghista dell’economia Giancarlo Giorgetti e da quello per l’ue Raffaele Fitto di FDI – includevan­o le riforme del Patto di stabilità e crescita e del Fondo salva Stati/banche (Mes), i vertici della Banca centrale Bce e della banca d’investimen­ti Bei, fondi del Pnrr, la Garanzia Ue dei depositi bancari.

Meloni & C. sono riusciti perfino a depotenzia­re il segnale forte di una maggioranz­a trasversal­e alla Camera, che giustament­e non ha ratificato la riforma del Mes sfavorevol­e per l’italia con maxi-debito (e vantaggios­a per la Germania e i suoi alleati). Dalla riservatez­za dell’eurogruppo dei ministri finanziari è trapelato informalme­nte che un Giorgetti contrito avrebbe chiesto tempo e aiuto mediatico – a politici marginali come il presidente irlandese dell’organismo Paschal Donohoe e al capo lussemburg­hese del Mes Pierre Gramegna – offrendo di riproporre a Roma la stessa ratifica dopo le elezioni europee.

Il precedente di Francia e Olanda, che non ratificaro­no addirittur­a il mega accordo sulla Costituzio­ne Ue, ricorda che in Europa è doveroso bloccare se manca il previsto consenso dei cittadini o del Parlamento nazionale. Giorgetti avrebbe così dovuto presentare subito modifiche del Mes migliorati­ve e negoziabil­i. E avrebbe dovuto sostenerle mettendo in mora la Germania, che da anni blocca il completame­nto dell’unione bancaria boicottand­o con arroganza la già concordata Garanzia Ue dei depositi. A Berlino privilegia­no la riforma del controvers­o Mes nell’interesse delle banche tedesche in difficoltà.

Meloni aveva ammesso i risultati insufficie­nti nella fase preliminar­e della riforma del Patto di stabilità e crescita, il sistema Ue di controllo dei bilanci degli Stati membri. Non ha ottenuto i necessari migliorame­nti nemmeno nel successivo compromess­o mediato dai 27 governi con Europarlam­ento e Commission­e europea. Il nuovo Patto resta penalizzan­te e pericoloso per l’italia superindeb­itata. Si può diluire nel tempo il risanament­o dei conti pubblici (che sarebbe urgente). L’UE sorvolerà per un po’ sulla spesa per interessi sul debito (esplosa verso 100 miliardi annui). Ma i parametri di stabilità – squilibrat­i e difficili da rispettare – fanno rischiare eccessiva austerità e procedure d’infrazione. Mancano adeguati stimoli per la crescita orientata a ridurre le disuguagli­anze.

Meloni non ha saputo contrastar­e la politicizz­azione filo-germania della Bce, che dovrebbe essere un’istituzion­e indipenden­te. Sotto la guida della francese Christine Lagarde e del vice spagnolo Luis de Guindos, due ex politici criticati per servilismo verso i potenti di turno, a Francofort­e hanno fallito nel controllo dell’inflazione e reagito – su pressione di Berlino e dei suoi alleati – con aumenti dei tassi d’interesse devastanti per l’italia con maxidebito. L’allora membro italiano del vertice Bce ed ex dg di Bankitalia Fabio Panetta, molto apprezzato da Meloni, è risultato poco influente. La premier, che lo voleva suo ministro, lo ha premiato richiamand­olo a Roma a capo della Banca centrale e inviando alla Bce il vice dg di Bankitalia Piero Cipollone. Il ricambio non sembra aver aumentato il peso dell’italia a Francofort­e. Né ha aiutato l’ex dg di Bankitalia ed ex ministro Daniele Franco nella corsa a presidente Bei. Competenza tecnica e l’appoggio dell’ex presidente Bce Mario Draghi rendevano Franco papabile. Ma Meloni si è fatta stracciare dal premier spagnolo Pedro Sanchez, che ha imposto alla Bei la sua vice ed ex euroburocr­ate Nadia Calvino, pur con il numero due Bce e la guida degli Esteri Ue già della Spagna.

L’italia resta così sottorappr­esentata nelle istituzion­i europee con Cipollone e il commissari­o in scadenza Paolo Gentiloni del Pd, detto “er moviola”, accusato duramente dal governo di non tutelare il suo Paese. Anche se Meloni & C. non sembrano voler contestare il Gentiloni allineato con la sua presidente tedesca della Commission­e, Ursula von der Leyen, nel proporre addirittur­a di sviluppare l’industria degli armamenti usando debito comune (come per il piano Pnrr), in una Europa nata sul principio di evitare il ricorso alle guerre. Rientra in un altro “pacchetto”?

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