Chi giudica quei giudici? Cosa dice la Cassazione
Èdiventato un caso politico l’inchiesta della Procura di Perugia che vede coinvolti un magistrato della Dna (Antonio Laudati) e un maresciallo della GDF (Pasquale Striano), indagati per i reati di rivelazione di segreti d’ufficio e accesso abusivo al sistema informatico (circa 800 accessi).
Il titolare dell’inchiesta Raffaele Cantone e il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo saranno sentiti dal Csm, dalla Commissione Parlamentare Antimafia e dal Comitato permanente per la sicurezza della Repubblica. La singolarità della richiesta ha indotto il v.p. della Camera, Giorgio Mulè, di FI, a dire che “c’è materia per temere l’esistenza di un attentato alla democrazia italiana o quantomeno del tentativo di deviarne il corso”.
Pericolo, in verità, alquanto improbabile attesi la natura dei reati contestati (nessun episodio ricattatorio) e l’esiguo numero degli indagati: il maresciallo e il sostituto in concorso con dei giornalisti che, ricevute informazioni, hanno pubblicato notizie vere di interesse pubblico.
C’è un altro aspetto peculiare della vicenda che è dato dalla competenza della Procura di Perugia ritenuta sussistente ai sensi dell’art. 11 bis cpp in virtù del quale i procedimenti penali relativi a un magistrato addetto alla Dna “sono di competenza del giudice determinato ai sensi dell’art. 11”, norma, che riguarda i magistrati che “esercitano le proprie funzioni nel distretto di Corte di appello” e che, se indagati, imputati o parti offese, debbano essere giudicati in un altro distretto. La ratio della norma è evitare che i magistrati che “esercitano le funzioni” in un determinato distretto siano giudicati da colleghi del medesimo distretto; ed è questa la ragione per la quale i magistrati della Corte di Cassazione (e della PG) – i quali hanno “competenza nazionale” – non sono soggetti alla competenza derogata di cui all’art. 11, e lo stesso principio dovrebbe valere per i magistrati addetti alla Dna i quali non “esercitano le funzioni nel distretto” ma in ambito nazionale, non senza considerare che la Dna è incardinata nella PG della Corte di Cassazione.
SI RICHIAMA l’ordinanza del Tribunale di Roma del 17 luglio 2014 che ha rigettato l’eccezione di incompetenza del medesimo Tribunale con la seguente motivazione: “Udita la richiesta della difesa inerente la dichiarazione di incompetenza ex art. 11 cpp, avuto riguardo alla circostanza che una delle persone offese svolge attualmente le funzioni di magistrato presso la Dna, con sede in Roma; Osservato che sulla base del condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità, la citata norma ex art. 11 cpp non trova applicazione ove il magistrato svolga le proprie funzioni in un ufficio giudiziario a
SUI MEMBRI PNA GIURISPRUDENZA NON UNIVOCA
vente competenza nazionale quale la Dna (vedi al riguardo sia pure in fattispecie relativa al magistrato che svolge funzioni presso la Corte di Cassazione, Sez. Vin.30760del13.05.2009); osserva, in particolare, che, come si legge nelle motivazioni della citata sentenza della Suprema Corte, la norma in questione – nel prevedere una deroga alle ordinarie regole di competenza per l’ipotesi in cui in base ad esse la cognizione dei procedimenti riguardanti un magistrato apparterrebbe ad un “ufficio giudiziario compreso nel distratto di Corte di Appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni” – non può che riferirsi ai giudici di merito e ai magistrati del Pm addetti a un tribunale o a una Corte d’appello”.
Può, quindi, ritenersi che l’art. 11 bis cpp andrebbe interpretato nel senso che tale norma riguarda solo quei magistrati della Dna che siano applicati presso una sede periferica (Dda), e, pertanto, essi, in quanto inseriti a pieno titolo nell’ufficio distrettuale, sono soggetti all’applicazione dell’art. 11 cpp. Un intervento interpretativo della Suprema Corte in sarebbe auspicabile.