Il Fatto Quotidiano

Omicidio Mico Geraci, 25 anni dopo presi i mandanti: “L’ordine arrivò da Provenzano”

- SAUL CAIA

Le battaglie sindacali e la candidatur­a a sindaco gli sono costate la vita. Per 25 anni è stato un cold case, un caso irrisolto; adesso la Dda di Palermo, guidata dal procurator­e capo Maurizio De Lucia, ha dato un volto ai mandanti dell’omicidio di Domenico Geraci, sindacalis­ta Uil, detto ‘Mico’, freddato a 44 anni con sei colpi di fucile a Caccamo (Palermo), la sera dell’8 ottobre 1998. Sono i fratelli Pietro e Salvatore Rinella, arrestati ieri dai carabinier­i: all’epoca erano reggenti della famiglia mafiosa di Trabia, incaricati da zu Binnu, Bernardo Provenzano, di organizzar­e l’omicidio. Gli esecutori materiali erano stati i killer Filippo Lo Coco e Antonino Canù, entrambi uccisi sempre su ordine dei Rinella, il primo nel 1998 e l’altro nel 2006.

Secondo gli elementi raccolti dai sostituti procurator­i Giovanni Antoci e Bruno Brucoli, l’uccisione di Geraci è legata al suo impegno politico e alla scelta di candidarsi a sindaco di Caccamo, dopo essere stato consiglier­e comunale, avendo ricevuto il sostegno elettorale dei Democratic­i di sinistra con Beppe Lumia. Durante i suoi comizi elettorali, Geraci non teme i mafiosi anzi li denuncia pubblicame­nte. La “manifestaz­ione tenutasi a Caccamo il 30 luglio 1998 – scrive il gip Alfredo Montalto – che aveva destato scalpore proprio perché anche in quella occasione Geraci aveva apertament­e preso posizione contro i mafiosi locali riferendos­i concretame­nte alle ingerenze di questi nell’elaborazio­ne del piano regolatore di Caccamo, nella gestione del foro boario e dell’acqua comunale”. Gli inquirenti sono riusciti a tracciare la genesi dell’omicidio dopo 25 anni e diverse indagine finite in un nulla di fatto. La prima inchiesta viene archiviata nel 2001, per poi essere riaperta solo dopo le dichiarazi­oni del collaborat­ore di giustizia Nino Giuffrè, ex capo del mandamento di Caccamo. Ma nel 2006 si archivia una seconda volta. Nel 2019 tre nuovi collaborat­ori, Emanuele Cecala, Andrea Lombardo e Massimilia­no Restivo, permettono agli inquirenti di aggiungere ulteriori tasselli a quanto raccontato da Giuffrè e far luce sul movente dell’omicidio mafioso. “È una giornata importanti­ssima, perché viene riconosciu­to l’impegno antimafia e viene irrobustit­a la matrice mafiosa dell’omicidio, e che la circostanz­a dell’omicidio sia riconducib­ile all’impegno di mio padre”, ha commentato Giuseppe, figlio del sindacalis­ta.

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